Reazioni internazionali alla legalizzazione uruguaiana

57

URUGUAY – Montevideo 20/12/2013. Dal voto in Senato di martedì 10 dicembre 2013, risultato nell’approvazione in via definitiva del provvedimento che legalizza il mercato della marijuana e ne attribuisce il controllo allo Stato, numerose e diverse sono state le reazioni internazionali all’«esperimento sociopolitico» del presidente Mujica, risposte che spaziano dalla totale riprovazione al più celebre riconoscimento. 

Una delle posizioni più dure è stata assunta dall’Onu. Raymond Yans, presidente dell’International Narcotics Control Board (Incb), organo delle Nazioni Unite per il controllo degli stupefacenti, poche ore dopo la diffusione della notizia, ha diramato un comunicato in cui accusa l’Uruguay di violare i termini degli accordi internazionali in materia di stupefacenti e, in particolare, la Convenzione Unica sulle Droghe Narcotiche del 1961 che, come ricorda Yans, ha l’obiettivo di «proteggere la salute e il benessere degli esseri umani» e che «obbliga gli Stati firmatari a limitare l’uso della marijuana ai soli fini medici e scientifici, a causa della sua capacità di creare dipendenza». 

Gli fa eco David Dadge, portavoce dell’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, che ha appoggiato le dichiarazioni di Yans e ha qualificato come “infelice” la scelta dell’Uruguay di agire a prescindere dalla discussione mondiale in corso sul problema delle droghe e, soprattutto, prima della sessione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU prevista per il 2016.

Un rifiuto alla nuova legge uruguayana è stato espresso anche dalla Drug Enforcement Administration (Dea), organo del governo statunitense, attraverso le parole del suo portavoce Rusty Payne, secondo il quale «la legalizzazione della marijuana avrà serie conseguenze per i giovani e per l’ordine pubblico, aumenterà la dipendenza e favorirà l’uso di altre droghe, aprendo la strada a comportamenti delinquenziali come la guida sotto l’effetto di stupefacenti». 

Altrettanto dure sono state le dichiarazioni di Pooja Jhunjhunwala, portavoce del Dipartimento di Stato degli Usa. «Gli uruguayani possono scegliere le politiche che ritengono più appropriate, ma il governo ha l’obbligo di rispettare gli impegni derivanti dai trattati internazionali che l’Uruguay ha sottoscritto». 

Di tutt’altro avviso è Simon Jenkins, giornalista del quotidiano inglese The Guardian, secondo il quale «l’eroico Uruguay merita un premio nobel per la pace per aver legalizzato la cannabis» e, dopo aver lodato l’esperimento di Mujica in quella che definisce «la guerra alla guerra alla droga», per spiegare l’opposizione di Usa e Onu afferma che la linea politica uruguayana mette i due colossi in imbarazzo considerato che basano le loro dichiarazioni solo su «inutili luoghi comuni». 

Anche Hugo Cabieses, esperto in materia di narcotraffico ed ex viceministro dell’ambiente peruviano, si mostra critico rispetto alla riprovazione internazionale, e commenta così il monito statunitense: «Scandalizzarsi per la decisione uruguayana fa parte di un discorso politico proprio del proibizionismo antidroga degli Stati Uniti». 

Hanno accolto favorevolmente e unitamente il nuovo provvedimento anche 114 organizzazioni tematiche di tutto il mondo, tra cui il Caribbean Drug Abuse Research Institute, la Rede Brasileira de Reducão de Danos e Direitos Humanos o la Drug Policy Alliance. Con una lettera aperta questi istituti hanno espresso il loro pieno consenso. «La strada intrapresa dall’Uruguay pone le basi di un nuovo paradigma per le politiche pubbliche in materia di droghe (…)». 

Infine, the Earth’s got talent. Come si legge nell’editoriale della sezione Leaders del prossimo e ultimo numero cartaceo del 2013, la rivista settimanale britannica The Economist «ha deciso, per la prima volta, di nominare il Paese dell’anno». Scartando motivazioni legate a criteri economici, fisiologiche per la natura stessa della rivista, a parametri di governo o di popolo, talvolta fuorvianti perché contraddittori, la scelta editoriale si basa su una speciale categoria di riforme, «che non migliorano solo il Paese che le ha emanate ma che, se emulate, potrebbero migliorare il mondo intero». La legalizzazione dei matrimoni omosessuali rientra in questa categoria secondo l’Economist, una politica progressista che aumenta la felicità globale senza costi finanziari. Tra i Paesi che hanno disciplinato le unioni gay nel corso del 2013 spicca l’Uruguay, unica nazione al mondo ad aver anche legalizzato e regolamentato il mercato della marijuana. Si tratta, secondo la rivista, di un provvedimento importantissimo che, se fosse imitato da altri Paesi e se includesse altre sostanze stupefacenti, potrebbe ridurre drasticamente i danni causati dal mercato illegale di queste droghe a livello mondiale. Altrettanto lodevole risulta la figura del suo presidente José Mujica, schivo e modesto, di una franchezza insolita per essere un politico, «umile ma coraggioso, liberale e amante del divertimento», come il suo Uruguay, il Paese dell’anno, tra oneri e onori.