Uno, nessuno e centomila… Hacker

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ITALIA – Roma. Il Web è sempre più un campo di battaglia tra forze sovversive digitali che si contendo la nomea di “più cattivo”.

Sono tre le tipologie di hacker individuate e tratteggiate dal DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza), macrocategorie riconosciute a livello internazionale, illustrate nella annuale Relazione (vedi:  AGC L’Italia secondo il Dis). 

I black hat sono i tipici cyber criminali che violano il sistema informatico per fini economici.

Possono essere suddivisi in tre sotto-categorie: Wannabe, meglio conosciuto come “lamer”, teenager che utilizzano le tecniche adottate dagli hacker , senza possedere un’adeguata competenza o conoscenza approfondita, spinti dalla mera visibilità mediatica e da un po’ di vana gloria; si avvalgono di “hacker toolkit”, scaricabili gratuitamente da Internet. A seguire, secondo la Relazione sviluppata dai servizi di Intelligence italiana, troviamo gli Script Kiddie, abili nell’usare strumenti creati da altri per compiere qualche “innocua violazione”. La loro pericolosità è però data dagli strumenti scaricati ed impiegati: software in grado di mandare in crash i sistemi attaccati, provocando DoS (Denial of Service) e quindi malfunzionamenti, o utilizzare software per trovare vulnerabilità e testare quindi le “difese” di un sistema. 

Terza ed ultima sotto-categoria comprende i Cracker: hacker  che cancellano file e creano danni irreparabili al sistema informatico.

Ad attirare l’attenzione del Dis c’è anche il  “valoroso”Cyber-Warrior (mercenario), il quale agisce su commissione e viene retribuito per attaccare specifici bersagli. Tuttavia, nella medesima categoria rientrano anche gli affiliati ad Anonymous, che sono spinti da motivazioni puramente ideologiche e sovversive. Le competenze di questi pirati informatici variano da conoscenze basiche a livelli altamente tecnici e specializzati. Il grosso di questo “esercito” digitale è infatti richiesto da note organizzazioni criminali dell’Est Europa ed impiegato per supportare le loro “non proprio” legali attività.

I veri esploratori, nonché “filosofi” della Rete sono però i Grey hat: non amano essere etichettati e non agiscono per fini criminali, ma solo per la voglia di ampliare le proprie conoscenze in campo informatico, dei veri nerd! Sono suddivisi in sotto-categorie, tra le quali ritroviamo l’Ethical hacker, 

dotato di incredibili competenze ed abilità di hacking e sempre attento a perseguire la cosiddetta “etica hacker”: portare avanti azioni di hackeraggio al solo  fine di individuare le falle nei software delle infrastrutture IT (social network ), nelle applicazioni e nei protocolli. La sottocategoria degli hacker dotati di senso civico termina con gli QPS (Quite, Paranoid, Skilled hacker): cyber pirati, altamente specializzati, che non lasciano mai traccia del loro passaggio e dei software creati manualmente dagli stessi, anche in questo caso la passione per la tecnologia muove le azioni di questi individui.

I veri paladini della giustizia, impegnati contro la criminalità informatica sono però i White hat: questi hacker collaborano con forze dell’ordine, enti governativi e statali al fine di prevenire possibili attacchi e proteggere i sistemi . Il loro lavoro si basa sulla stretta collaborazione con le aziende, assumendo il ruolo di veri e propri consulenti.

In una società moderna, sempre più variegata , multi-etnica, multi-razziale e pluri-religiosa come la nostra, il fenomeno del melting pot non riguarda più solo ambiti sociali concreti, ma anche spazi sociali virtuali e tecnologici.