TURCHIA. Il soft power neo-ottomano di Ankara in Asia  Centrale

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Migliaia di commercianti kirghisi e kazaki, che fanno leva sui soggiorni senza visto in Turchia, sono l’ossatura del crescente flusso commerciale del modo turco-asiatico, al livello più elementare. Ma i turchi hanno molto di più da offrire ai loro parenti dell’Asia centrale: beni industriali, investimenti, joint venture energetiche, scuole religiose e soft power.

Tutto questo in un momento e in luoghi dove Mosca continua ad affermare l’influenza politica in tutti gli “Stan” asiatici, e Pechino sta promuovendo in modo aggressivo la sua iniziativa Belt and Road Initiative per l’integrazione eurasiatica nella regione. In mezzo a questi giochi di potere, compare anche Ankara, sebbene poco conosciuta. La Turchia sta cercando di affermare la leadership su uno dei gruppi etno-linguistici più grandi, più diffusi e potenzialmente carichi di potenzialità quello dei popoli turchi.

Si tratta di legami millenari e oggi la Turchia e i paesi dell’Asia centrale fanno parte di una vasta comunità: i popoli turchi si estendono dal Mediterraneo alla Siberia. La famiglia delle lingue turche comprende oltre 30 lingue, con 170 milioni di madrelingua di qualche tipo di lingua turca.

Se la Turchia conta 60 milioni di turchi, ci sono cinque paesi centroasiatici turchi: Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan; per non contare le minoranze turche in Russia orientale e Cina occidentale. L’Impero Ottomano del XIX secolo promosse il concetto nazionalistico panturco; ma gli ottomani non all’epoca non erano in grado di competere con i russi, vera forza dominante in Asia centrale; Ankara ebbe le sue chance dopo il crollo dell’Urss nel 1999, diffondendo la sua influenza, rafforzando il suo peso economico e cercando di acquisire una leadership patrimoniale nell’area.

Sotto decenni di dominio russo e sovietico, l’Asia centrale è stata russificata e secolarizzata; la generazione politica post-sovietica oggi sta lasciando il passo a una nuova generazione politica nazionalista e filoturca, come accade in Uzbekitan.

Ankara afferma di essere stata la prima a riconoscere l’indipendenza degli stati dell’Asia centrale; dopo i primi contatti diplomatici all’inizio degli anni ’90, Ankara ha istituito un “Consiglio di cooperazione strategica ad alto livello” per promuovere i propri interessi nella regione. Sono stati lanciati canali televisivi e giornali turchi; finanziate borse di studio; i turchi promossero i centroasiatici al rango di cugini perduti da tempo.

La presenza di Ankara è economicamente pesante: il commercio Kazakistan-Turchia è passato da circa 236 milioni di dollari nel 1995 a 3 miliardi di dollari nel 2010, and esempio; il commercio bilaterale con  il Kirghizistan è salito da soli 43 milioni di dollari nel 2005 a 160 milioni di dollari nel 2010, quinto maggiore investitore straniero nel paese; Ankara è il maggiore investitore in Turkmenistan e il secondo partner commerciale: il commercio bilaterale è salito da 168 milioni di dollari nel 1995 a 1,5 miliardi di dollari nel 2010; in Uzbekistan gli scambi bilaterali sono passati da 200 milioni di dollari nel 1995 a più di 1 miliardo di dollari nel 2015; in Tagikistan, nonostante la forte presenza iraniana, la Turchia è un partner commerciale di primo piano.

Non è solo economia: Ankara ha aperto la strada a un’associazione universitaria turca e ha sponsorizzato un libro di storia comune per allineare gli insegnamenti locali con la narrazione di Ankara; finanzia università e istituti di istruzione turchi nella regione.

Politicamente, i “Vertici dei capi di Stato dei paesi di lingua turca”, che si tengono ogni anno dal 1992, si sono evoluti nel Consiglio turco, dal 2009, il cui segretariato è a Istanbul. Con una popolazione di oltre 144 milioni di persone, un territorio di oltre 4 milioni di chilometri quadrati e un Pil combinato di 1,13 trilioni di dollari, si tratta di una realtà geopolitica di tutto rispetto.

Il Consiglio è affiancato dal Consiglio mondiale degli Anziani turchi, lanciato da Ankara nel 2017 che mira a riunire i turchi sull’integrazione culturale e spirituale.

E poi c’è il fascino dell’antica capitale imperiale e del flusso turistico collegato: la Turchia offre l’esenzione dal visto a tutte le repubbliche centroasiatiche: un enorme traffico turistico. Si registra infatti il boom di Turkish Airlines, delle low-cost turche come Pegasus Airlines. Lo stesso dicasi per cultura e informazione.

Non mancano le forti resistenza comunque: dopo decenni di secolarismo, le attività religiose di Ankara, ad esempio, stanno montando la reazione. Molti leader locali, soprattutto in Uzbekistan e Turkmenistan, sospettano che scuole e canali di diffusione di valori islamici siano potenzialmente destabilizzanti nelle zone rurali. Una questione sottovalutata è quella dei molti diplomati delle scuole islamiche che si sono radicalizzati e si sono trasferiti in Medio Oriente: ben 4.000 centroasiatici sono entrati nei ranghi dello Stato Islamico in Siria e in Iraq.

Antonio Albanese