TURCHIA. Ankara non ha i mezzi per pagare una guerra, figuriamoci due

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Disoccupazione, deficit commerciale e mancanza di liquidità stanno affossando l’economia turca: tutto indicherebbe che la posizione estrema nel Mediterraneo orientale e in Libia non può essere di lunga durata, a meno che non si veda nello scontro diretto esterno una soluzione ai problemi interni.

Il tasso di disoccupazione in Turchia, infatti, è salito al 13,4% nei tre mesi fino a luglio, anche dopo che il governo ha vietato alle aziende di licenziare i lavoratori. Il tasso di disoccupazione è aumentato dal 13 per cento nello stesso periodo di un anno fa e dal 12,9 per cento nel periodo aprile-giugno, come dimostrano i dati pubblicati dall’Istituto statistico turco.

Il numero di persone occupate è diminuito di quasi 2 milioni di persone, raggiungendo il 42,4 per cento della forza lavoro rispetto al periodo maggio-luglio 2019. Il resto era disoccupato o non in cerca di lavoro. Molti lavoratori in Turchia sono stati messi in congedo non retribuito dai loro datori di lavoro o sono in settimana lavorativa breve pagata dal governo, riporta Ahval.

La disoccupazione non agricola è salita al 15,9% rispetto al 15,3% dell’anno precedente. Il tasso di partecipazione al lavoro è salito al 49 per cento dal 47,6 per cento di aprile a giugno, poiché un numero maggiore di turchi si è registrato definendosi “alla ricerca di un lavoro”. Il tasso si era attestato al 53,3 per cento da maggio a luglio dell’anno scorso.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha esteso la settimana scorsa il divieto di licenziamento dei lavoratori da parte delle imprese, misura inizialmente adottata dopo lo scoppio della pandemia a marzo. «Alle imprese turche è vietato il licenziamento dei lavoratori per altri due mesi», ha dichiarato Erdoğan, va ricordato che il provvedimento scadeva il 17 settembre.

Secondo il governo turco, però, l’economia è nel bel mezzo di una ripresa a “V”, citando un aumento della produzione a seguito della pandemia di coronavirus; le previsioni di crescita sostenibile per l’economia sembrano troppo ottimistiche visto lo stato della produzione e degli investimenti, secondo il giornale Karar.

In una analisi uscita l’11 settembre, si afferma che l’utilizzo della capacità produttiva dei produttori è in declino dal 2017, anche dopo che il governo ha cercato di stimolare la produzione e le esportazioni attraverso prestiti a basso costo e altri incentivi finanziari.

I produttori stavano utilizzando fino all’80 per cento della loro capacità nel 2017, quando il governo ha distribuito il capitale nell’ambito del suo Fondo di garanzia del credito. Ma il tasso è sceso a circa il 74% nel 2019 e a meno del 70% quest’anno durante la pandemia di coronavirus: «Sono necessari più produzione e investimenti per soddisfare le esigenze di 1 milione di persone che entrano nella forza lavoro ogni anno (…) La previsione del ministro del Tesoro e delle Finanze turco Berat Albayrak di una ripresa rapida e sostenuta dalla crisi economica di quest’anno sembra una chimera senza i nuovi investimenti e le fabbriche di cui la Turchia ha disperatamente bisogno». Secondo Bloomberg, «le banche statali turche, che hanno fornito sostegno alla lira in crisi e hanno guidato un boom di prestiti quest’anno, si offriranno di raccogliere migliaia di tonnellate d’oro dai risparmiatori turchi».

I gioiellieri turchi saranno selezionati per accettare il cosiddetto oro “sotto il materasso”, per un totale di 5.000 tonnellate, pari a circa il 40% del prodotto interno lordo, prima di depositarlo presso le banche, riporta Bloomberg. La Raffineria dell’Oro di Istanbul ha selezionato 70 gioiellieri in 20 province della Turchia per accettare l’oro e prevede di ampliare la rete a 1.000 nelle 81 province del paese.

Le banche statali Halkbank, Vakıfbank e Ziraat Bank, hanno distribuito prestiti a basso costo per contribuire a sostenere la crescita economica e preservare la lira. Il boom dei prestiti ha ampliato il deficit delle partite correnti, aumentando la pressione di vendita sulla lira. I precedenti tentativi di portare l’oro nel sistema finanziario sono in gran parte falliti, con circa 100 tonnellate acquistate nell’ultimo decennio. L’acquisto di oro da parte dei cittadini turchi è aumentato quest’anno dopo il crollo della lira.

La Turchia inoltre ha registrato un deficit delle partite correnti di 1,82 miliardi di dollari a luglio, in quanto le importazioni hanno superato le esportazioni, in gran parte a causa delle misure di stimolo economico del governo. Le merci importate sono state pari a 16,7 miliardi di dollari, superiori alle esportazioni di 14,85 miliardi di dollari, producendo un deficit commerciale di 1,85 miliardi di dollari.

La Turchia ha sofferto di un deficit delle partite correnti storicamente elevato, che richiede un finanziamento attraverso entrate come i proventi del turismo e gli investimenti interni. Ma entrambi hanno subito un crollo quest’anno, mentre gli sforzi del governo per stimolare la crescita economica con prestiti a basso costo da parte di banche statali e condoni fiscali hanno stimolato la domanda di importazioni. Secondo Reuters e Anadolu il deficit oscilla tra 1,9 e 2 miliardi di dollari.

Per rispondere alla domanda “chi trae vantaggio da tutto ciò?”, dobbiamo aggiungere altri dati non economici, come quello della elevata presenza di piloti militari pakistani nell’aeronautica militare turca; nel legame a doppio filo tra Islamabad e Pechino e a quali aree andrebbe a bloccare una guerra nel Mediterraneo orientale e nelle sue propaggini libiche.

A voi lanciare i dadi.

Antonio Albanese