SIRIA. Le difficili relazioni tra turchi e siriani

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A partire dal 2017 Turchia, Russia e Iran hanno deciso di sostenere la stabilità nel nord della Siria intervenendo militarmente. La Turchia in particolar modo ha evocato gli accordi di Adana del 1989, secondo i quali, in caso di minacce terroristiche alla Turchia (leggasi curdi che tentavano di sconfinare) nelle aree di confine tra Turchia e Siria questa sarebbe potuta intervenire senza il benestare di Damasco.

Tali accordi erano nati in un clima di tensione alla ricerca di una soluzione per l’approvvigionamento di acqua per la Siria, il cui flusso era oramai compromesso dalla Turchia e dalle sue dighe. La Siria in risposta alla costruzione unilaterale delle dighe aveva ospitato i curdi del PKK e anche il loro leader Ocialan che a Damasco ci ha vissuto per 10 anni.

Da qui il passo a scendere in Siria durante la rivoluzione è breve, la prima ondata di attacchi è avvenuta per fermare le donne YPG che erano in difesa del Cantone di Afrin, città nel governatorato di Aleppo a pochi km dal confine. Era marzo 2018.

Il 24 agosto, si apprende dai media siriani: il “3 ° Corpo” sostenuto dalla Turchia, concede alle sue fazioni una settimana per evacuare il quartier generale militare nella città di Afrin.

Secondo l’Osservatorio siriano, infatti, Il 3° Corpo affiliato all’Esercito Nazionale ha emesso una circolare, ordinando a tutte le formazioni militari che operano sotto la sua bandiera di evacuare tutti i quartieri generali militari all’interno dei quartieri residenziali della città di Afrin e di trasferirsi in altri quartieri generali fuori città in non più di una settimana.

La circolare, secondo l’Osservatorio, recita: a tutta la formazione militare del ‘3 ° Corpo’, dovete lasciare tutti i quartier generali affiliati alle formazioni del 3° Corpo all’interno della città di Afrin al quartier generale fuori città in un settimana dalla data della circolare.

L’Osservatorio sostiene che questa circolare arriva sulla scia delle continue richieste da parte dei residenti e degli enti civili della città di Afrin di evacuare il quartier generale militare e porre fine alla presenza di armi nella città, nonché le violazioni in corso contro i civili, purtroppo però i fatti raccontano altro. Verissimo che la popolazione da almeno due anni protesta per le violenze delle milizie turche ad Afrin in particolar modo le Sultan Murad che reclutano anche per la Libia.

Ma nella città abbiamo visto nascere le scuole in lingua turca, gli ospedali bilingue, arrivare cibo e materiale di prima necessità tutto rigorosamente made in Turchia. Non solo, è da lì che le milizie partono per la Libia. Ci deve essere stato un accordo tra turchi russi e iraniani per cui i più dannosi per la popolazione devono ritirarsi nelle periferie. E il restare in attesa di altro incarico molto probabilmente in Libia o Yemen.

A gestire Afrin, che vogliano o no i cittadini, o i curdi, da ora in poi è un nuovo padrone: il 3° Corpo e sempre per conto della Turchia. 

Redazione