SIRIA. Il valzer dell’ipocrisia turco-americana sui curdi siriani

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Come preannunciato, dopo i mille rinvii e le scadenze mancate, il presidente turco Recep Erdogan sembra aver ottenuto il via libera degli Stati Uniti per l’istituzione della “Safe Zone” nel nord-est siriano. Bisogna usare il termine “sembra” viste le correzioni di tiro, le smentite parziali arrivate dalla Casa Bianca l’8 ottobre. Come lo stesso presidente turco aveva mostrato al mondo durante l’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, la “Safe Zone” è una striscia di terra che corre lungo il confine turco-siriano da Jarabulus a dove si incontrano i confini di Siria, Turchia ed Iraq e si estende nell’entroterra siriano per 32 chilometri. 

A margine della definizione ufficiale espressa nel Palazzo delle conferenze a New York, le intenzioni di Erdogan sono quelle di – una volta ottenuta la prima fetta di 32 km – estendere la “Safe Zone” fino ad includere Raqqa, che di chilometri ne dista 80 dal confine, e Deir Ez Zor, a ben 160 chilometri. 

Erdogan, nel fine settimana scorso, aveva espresso la sua usuale linea di pensiero ossia che, accordi alla mano, gli USA avrebbero già aver dovuto entro fine settembre acconsentire alla realizzazione del progetto, mentre ne avrebbero solo ritardato l’implementazione. Questo sarebbe stato anche il contenuto della telefonata che Erdogan ha fatto al presidente Donald Trump. Il presidente americano, ormai notoriamente interessato a liberarsi del fardello di quelle che lui stesso ha chiamato “guerre inutili”, avrebbe voluto cogliere l’occasione fornita da Erdogan in Siria ma ha probabilmente incontrato l’opposizione degli apparati militari nonché del Congresso americano, al punto che la sua decisione è sembrata un fulmine a ciel sereno cui sono poi seguiti diversi giri di valzer e torsioni lessicali per non far passare come eccessivamente pilatesca la politica siriana dell’Amministrazione. 

Questa era stata l’impressione, a leggere il comunicato della Casa Bianca, con cui la Presidenza Usa ha comunicato che le forze americane si sarebbero ritirate dalle aree della “Safe Zone” e non avrebbero fornito più supporto alle forze curde nell’area. 

Il presidente Trump aveva poi aggiunto che non si trattava, a dispetto della sostanza e apparenza, di un tradimento dell’amicizia con i curdi poiché gli Stati Uniti hanno speso molto in termini di denaro e mezzi per permettere a questi di mantenere il controllo della regione. Trump aveva poi annunciato che la vittoria su Daesh era completa, non menzionando l’effettiva realtà di una risorgenza Daesh nell’area (nella Badiyah siriana e nell’area di Ash Shuhayl/Ash Shaddad, ad esempio), e per tanto la costosa presenza americana non era più giustificata. Prospettava altresì per i turchi il ruolo di contenimento dei molti prigionieri fra i foreign fighter e non, dai ranghi dello Stato Islamico, detenuti dalle forze curde nella Rojava,anche qui senza menzionare i quasi comprovati legami tra turchi e Isis. 

Il presidente Trump ha inoltre invitato Erdogan per una visita a Washington a metà novembre per rifinire gli accordi sulla Siria che vedrà dunque la Turchia come guardiano e pacificatore, designato dagli Usa, per la regione. Erdogan ha riferito che i temi dell’incontro saranno l’eliminazione del terrorismo curdo (cioè l’eliminazione di Ypg/Pkk) dalle aree del confine turco-siriano e l’impegno che la Turchia si assume nella lotta contro Daesh. 

Dunque dopo degli screzi evidenti intercorsi fra Ankara e Washington a seguito delle questioni S-400 e F-35, sembra che sia stata raggiunta una convergenza sul da farsi nel nord-est della Siria anche se, come spesso accade in queste evenienze, la comunità internazionale sembra essere indifferente alle lezioni imparate nel cantone di Afrin e che è tutt’altro che remota la possibilità che l’avversione turca per i curdi si trasformi in un’epurazione invece che una semplice riallocazione di profughi siriani in quelle aree. 

Inoltre dobbiamo ricordare che la Turchia sostiene organizzazioni terroristiche e/o jihadiste sia in Siria che in Libia. In Siria c’è uno stretto rapporto che le forze turche hanno avuto nell’aiutare i miliziani di Hayat Tahrir Al Sham – Hts, con fondi, armi e sessioni di addestramento, mentre in Libia ricordiamo l’appoggio, in violazione dell’embargo sulle armi, alle milizie di Misurata, il trasferimento a Tripoli di jihadisti da Idlib, il supporto a numerosi terroristi libici che vivono ad Istanbul nonché fra di loro Abdulhakim Belhadj. 

Redazione