Il balletto di Ginevra

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SIRIA – Damasco 14/11/2013. In Siria si combatte ancora ormai nel più totale silenzio internazionale. Si parla sì di incontri per la soluzione della crisi ma si continua a dimenticare che “la guerra” vera continua a mietere vittime tra i civili.

 L’11 novembre scorso, le forze governative siriane hanno riacquistato il pieno controllo di una base strategica, Base 80, vicino all’aeroporto internazionale di Aleppo. Nelle giornate successive le truppe hanno continuato ad avanzare anche nella parte settentrionale della città, rimasta ancora sotto il controllo dei ribelli nonostante siano ora indeboliti dalle lotte intestine tra fazioni. Il popoloso centro ha sempre rappresentato per la Siria un grande hub  commerciale, diviso in due dal conflitto continua ad essere un punto nevralgico della resistenza che riceve appoggio e armi dal confine turco e per questo la riconquista completa della città da parte delle truppe di Assad assesterebbe un duro colpo alle milizie tra cui rientrano vari gruppi terroristici come lo Stato Islamico dell’Iraq, la Grande Siria e altri, tutti affiliati ad al-Qaeda e  composti da numerosi combattenti stranieri. Anche se si sta sgretolando il composito fronte dei gruppi militanti che ora combattono anche fra di loro, queste milizie continuano a controllare la parte orientale della città e alcuni distretti della zona ovest e dell’entroterra rurale. Non sarà facile ristabilire la pace in un paese in cui si è scatenato l’inferno e in cui  interferenze esterne hanno creato un’instabilità che potrà essere riportata alla norma molto lentamente. Il 12 novembre le truppe siriane si sono scontrate con i ribelli alla periferia di Damasco e alcuni colpi di mortaio hanno  ferito il cuore della città; nello stesso giorno in cui tra l’altro si piangevano i bambini curdi, uccisi da un colpo di mortaio dei militanti anti governativi, mentre si trovavano sull’autobus al rientro dalla scuola. Anche il villaggio di Hijjeira nei pressi di Damasco è tornato in mano all’esercito regolare dopo che sono stati distrutti vari nidi dei ribelli. Purtroppo pero secondo le stime delle Nazioni Unite sono più di 120mila i morti e si parla di milioni di sfollati dall’inizio del conflitto. L’Onu ha anche recentemente dichiarato lo stato di emergenza umanitaria in Siria: più di nove milioni di persone hanno bisogno di aiuti urgenti a causa della crisi nel paese mediorientale e ulteriori 4milioni di siriani saranno costretti ad abbandonare le loro case nel 2014 a causa del conflitto. Tutto questo mentre le grandi potenze continuano il balletto di Ginevra, mentre troppi vorrebbero decidere chi far sedere al tavolo della pace e chi no. La cecità sulla povertà sta diventando sempre più una malattia incurabile in cui anche l’ormai endemica necessità di porre fine alla violenza continua ad essere sottomessa ad esclusivi interessi economici e di potere di paesi altri. Nel frattempo la Coalizione nazionale della Siria, che include anche rappresentanti della Coalizione nazionale curda, avrebbe deciso di partecipare ai lavori di Ginevra ma ad una condizione: che il presidente Bashar al-Assad lasci il potere e venga escluso da qualsiasi processo di transizione. Una dichiarazione di intenti che cadrà certo nel vuoto visto che il governo siriano ha espresso sin dall’inizio di voler partecipare alla Conferenza, ma il ruolo del presidente non è in discussione. La Coalizione, i cui vertici erano riuniti a Istanbul, dopo la dichiarazione di nomina di un governo provvisorio per «le aree liberate dal regime di Assad» e finite sotto controllo dei ribelli sta mostrando uno spirito di non collaborazione alla soluzione della crisi, chiedendo l’esclusione dell’interlocutore principale rimasto al potere. Inoltre Stati Uniti e gran parte dei paesi europei si erano opposti a questa loro iniziativa proprio perché da tutti ritenuta un ostacolo ad eventuali accordi di transizione. Tra l’altro alcuni gruppi jihadisti, tra cui al-Nusra, non riconoscerebbero l’autorità della Coalizione, che ha sede in Turchia, determinando altre tensioni in una situazione che mette sempre più a rischio l’incontro di pace.