UE ventre molle del jihadismo

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ALGERIA – Algeri. 09/09/14. Mohamed Baghdad è un accademico algerino, personaggio televisivo, e autore di “Sangue del Deserto” e “Al-Qaeda Guerre nel Sahel”. Partecipa inoltre a numerosi convegni internazionali sulla ideologia jihadista ed ha rilasciato una intervista a maghreia.com in cui fa l’analisi sull’andamento del fenomeno terrorismo nel Sahel. Secondo l’analista questo sarebbe in assoluto il periodo più pericoloso per l’espansione del terrorismo nel Sahel.

«È ovvio che la regione del Sahel rappresenta oggi la più grande area al mondo predisposto ad una più ampia attività terroristiche» dice Baghdad. Sostanzialmente la povertà è aun livello tale che le persone pur di vivere sono disposte a tutto e quel tutto prevede anche la totale sottomissione a gruppi terroristici. «Questa zona si estende dalla Somalia a est, in Nigeria ad ovest, etc.  più di nove milioni di chilometri quadrati» un’area ampia, per la gran parte si tratta di zone desertiche in cui vivono le persone più povere del mondo. Lo Stato inoltre in questi 9.000 chilometri è inesistente e l’amministrazione, la giustizia sono appannaggio di tribù e gruppi etnici. Ed ora sono arrivate le epidemie. Il Sahel, secondo l’analista di nazionalità algerina «produrrà un sacco di sorprese che non saranno piacevoli nei prossimi giorni, soprattutto perché la gestione delle condizioni economiche e di vita è praticamente inesistente». A preoccupare maggiormente è la palude libica, che per Mohamed Baghdad è molto più fangosa di quanto vogliano far credere. Palude politica ed economica che potrebbe estendersi al Maghreb. Sostanzialmente il mondo deve prepararsi ad unanuova cartina geografica dell’area. E ogni ritardo nell’intervento è un avanzamento verso la palude. Più tempo si aspetta più pericolosa diverrà l’area. Tra i pericoli dell’area l’orda di giovani disoccupati che sono privati ​​dei diritti umani fondamentali e che hanno perso ogni speranza nella loro patria e non sono pronti ad accettare lo status quo. E quindi l’unica opzione rimasta per loro è quello di andare verso l’ignoto, che è la Jihad. «Per quanto riguarda il Maghreb e gli elementi jihadisti che combattono in Siria o in Iraq» secondo Baghdad, a preoccupare di più «sono le generazioni precedenti che erano in Afghanistan e hanno dimostrato che gli elementi jihadisti del Maghreb sono in possesso di capacità di leadership», elevato spirito combattivo e forte impulso, forse in virtù della loro educazione e attributi psicologici e culturali, che li rendono capaci di avere incarichi gerarchicamente importanti. Vedi gli anni ’90 in Algeria, ora, gli stessi elementi, sono vicini al posto di comando, vicino alla presa del potere. Ma c’è di più secondo l’analista il ventre molle del mondo è l’Europa considerata una delle aree più «semplici in cui la minaccia  jihadista può estendersi. Questo non solo in termini geografici, ma in termini di zona con interessi vitali nel Sahel».  Per non parlare poi della forte presenza delle comunità magrebine sul suolo europeo. Tra i suggerimenti dell’analista, quello di percorrere la via algerina e della Mauritania nei confronti dei giovani jihadisti pentiti: l’integrazione e non la punizione. Quello che bisogna scongiurare, per l’analista, e la forte attratività del jihadismo sui giovani. E quindi va data ai giovani un’alternativa socio-culturale che al momento non c’è.