Se la scuola inglese perde i pezzi…

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REGNO UNITO – Londra 08/04/2015. Quattro insegnanti su 10 smettono di lavorare dopo solo un anno dalla loro abilitazione. 

Secondo i dati mostrati dall’ Associazione dei Maestri e Professori (Atl) nel corso di una conferenza  svoltasi nelle scorse settimane a Liverpool, solamente il 62% dei neo insegnanti continua a svolgere il proprio lavoro nelle classi a distanza di un anno dal conseguimento del Qualified Teacher Status.

Le statistiche del Dipartimento per l’Educazione inglese, basate sull’analisi dei dati sulla formazione dei nuovi insegnanti aggiungono un dato piuttosto rilevante: il numero dei maestri “formati” che non hanno mai messo piede in classe è triplicato in sei anni. Da 3.600 nel 2006 a 10.800 per gli ultimi dati disponibili relativi al 2011. 

Secondo Mary Bousted, segretario generale dell’associazione che raccoglie maestri e professori: «Quella dell’insegnante è diventata una professione incompatibile con uno stile di vita normale. Troppi dirigenti scolastici sono guidati dalla paura delle ispezioni che invece di portare elementi di qualità nell’educazione degli alunni aggiunge maggiore burocrazia, formulari da compilare, dati da inserire e tre penne di diverso colore per correzioni più incisive…»

Bousted ha chiesto nel corso della conferenza più rispetto per i professionisti della formazione e la revisione dei turni settimanali di 60 ore, che in molti casi producono situazioni di stress fino all’esaurimento. «Se i nostri politici non si prendono cura di noi, presto i cittadini raccoglieranno la loro amara ricompensa. Non ci saranno più insegnanti disposti ad insegnare ai loro bambini. Questa crisi è stata creata dalla politica, e le conseguenze stanno arrivando in maniera inesorabile».

Il presidente di Atl, Mark Baker ha aggiunto che gli insegnanti invece di dedicarsi al proprio lavoro spesso si ritrovano a dover “schedare” i propri alunni. La “sete” di dati del governo chiede ai maestri di fotografare le lezioni e gli studenti allo scopo di dimostrare che la lezione ha avuto effettivamente luogo.

Nel frattempo la quantità di supplenti che insegnano senza un’adeguata formazione diventa preoccupante.

In un articolo di Richard Garner apparso poche settimane fa sul quotidiano locale East London, ripreso in seguito sia dall’ Independent che dal Guardian, viene riportata una intervista all’insegnante Kirstie McAlpine, che ha deciso di lasciare il suo liceo a Newcastle per «riavere indietro la propria vita».

Ha resistito per cinque anni, mentre vedeva insegnanti gettare la spugna molto prima di lei. Lavorava anche 70 ore a settimana, oltre alla correzioni dei compiti di inglese che si protraeva nelle ore notturne. Con due figli di 18 e 16 anni era diventato impossibile mantenere un equilibrio all’interno della famiglia.

«È un peccato» dice «che tutte queste persone cosi appassionate e con molto talento per l’insegnamento si ritrovino nelle condizioni di non poter continuare».

Le ispezioni  dell’Uffico per gli Standard Educativi (Ofsted) stimolate dalle recenti disposizioni sul terrorismo, chiedono agli insegnanti di «tutelare i valori britannici»; «In questo modo» sostiene  Phillip Allsop, insegnante a Waltham Forest «questi ministri tutori della democrazia e della libertà di espressione, finiscono per allontanare gli studenti da un dibattito sano sulle problematiche attuali legate all’integrazione e ai recenti conflitti in corso».

In realtà, come ricorda un altro insegnante, Baljeet Ghale, è proprio nei valori britannici, nell’educazione scolastica e nella composizione stessa della sua società  che c’è sempre stato un posto privilegiato per il rispetto delle culture di altri paesi. Religioni comprese. 

Ma il mondo sta cambiando rapidamente, e oggi questo posto viene assegnato alla paura del prossimo. 

Alla morte  del prossimo, direbbe Luigi Zoja.