Per una filosofia del cibo

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di Graziella Giangiulio  ITALIA – Roma 17/10/2016. Un saggio, in lingua inglese del 2012, The Philosophy of food, di David Kaplan (Berkeley: University of California Press) approfondisce la natura del rapporto che l’uomo ha con il cibo. La traduzione e l’adattamento sono miei: «I filosofi hanno sempre analizzato il rapporto col cibo, ma non in maniera sistematica. Platone fornisce dettagli di una dieta appropriata nel libro II della Repubblica; Epicuro, gli stoici romani, Seneca, nonché filosofi illuministi, come Locke, Rousseau, Voltaire, e poi Marx e Nietzsche, discutono dei vari aspetti della produzione e del consumo di cibo. Nel ventesimo secolo, filosofi hanno studiato questioni come il vegetarianismo, l’etica agricola, i diritti alimentari, le biotecnologie, e l’estetica del gusto. Nel ventunesimo secolo, i filosofi continuano ad affrontare questi problemi ed altri nuovi riguardanti la globalizzazione del cibo, il ruolo della tecnologia, e i diritti e le responsabilità dei consumatori e dei produttori (…) I filosofi non si limitano a trattare il cibo come una branca della teoria etica; la esaminano come si fa con le aree fondamentali della ricerca filosofica: la metafisica, l’epistemologia, l’estetica, la teoria politica, e, naturalmente, l’etica. La frase “filosofia del cibo” è un concetto più preciso. Potremmo finalmente pensare alla filosofia del cibo come a una “filosofia di”, perfettamente normale se più filosofi affrontassero i problemi alimentari e più università offrissero corsi sul tema».

Kaplan ci porta diritti al tema di questa breve riflessione domenicale: il rapporto che la nostra cultura ha con l’alimentazione, che non è solo un dato nutrizionale ma è un dato caratterizzante una cultura. E nella cultura del consumismo, del mordi e fuggi e dell’usa e getta, dovrebbero colpire di più i dati sullo spreco alimentare delle società avanzate. Andamento che stride di fronte alla carenza alimentare che si rispecchia in altre parti di questo piccolo mondo globale in cui viviamo. I dati della Fao, il programma alimentare dell’Onu, che ha sede a Roma, sono indispensabili alla nostra riflessione, per non renderla generica: «Spreco di alimenti: fatti e cifre chiave

• Il volume globale di spreco alimentare è stimato a 1,6 miliardi di tonnellate equivalenti di “prodotto primario.” Il totale dello spreco di cibo per la parte commestibile di questo ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate.
• Le emissioni di anidride carbonica legate allo spreco alimentare sono stimate a 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti di gas serra rilasciati in atmosfera ogni anno.
• Il volume totale di acqua utilizzata ogni anno per produrre il cibo che si perde o viene sprecato (250km3) è equivalente al flusso annuo del fiume russo Volga, o tre volte il volume del lago di Ginevra.
• Allo stesso modo, 1,4 miliardi di ettari di terreno – 28 per cento della superficie agricola mondiale – viene utilizzato ogni anno per la produzione di cibo che viene perso o sprecato.
• L’agricoltura è responsabile per la maggior parte delle minacce per specie animali e vegetali a rischio monitorati dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.
• Una bassa percentuale di tutto lo spreco di cibo è compostato: gran parte di essa finisce in discarica, e rappresenta una gran parte dei rifiuti solidi urbani. Le emissioni di metano dalle discariche rappresentano una delle maggiori fonti di emissioni di gas serra dal settore dei rifiuti.
• Il compostaggio domestico può potenzialmente deviare fino a 150 kg di rifiuti alimentari per famiglia all’anno dalle autorità locali di raccolta.
• I paesi in via di sviluppo soffrono di più le perdite alimentari durante la produzione agricola, mentre nelle regioni a medio e alto reddito, i rifiuti alimentari a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori tendono ad essere maggiori.
• Le conseguenze economiche dirette degli sprechi alimentari (esclusi i pesci e frutti di mare) arrivano alla somma di 750 miliardi di dollari all’anno».

Questi i dati ufficiali, si tratta di cifre impressionanti che narrano un perverso rapporto col cibo, oramai spersonalizzato e deculturalizzato, ridotto a mero bene economico e non più simbolo di salute, energia e storia di luoghi e culture a noi vicine e lontane.
Per poter star bene la dieta, qualunque essa sia, deve anche essere consapevole e la consapevolezza di ogni nostro istante è fondamentale per il nostro vivere quotidiano in un equilibrato rapporto con l’universo; lo spreco è una perdita irrimediabile.