NORVEGIA. Oslo patria dei minatori crypto

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Un tempo era la Cina a dominare l’estrazione di bitcoin. Nel 2016 si pensava che forse il 60% delle miniere di bitcoin del mondo fossero lì, e la maggioranza era tra lo Yunnan e il Sichuan perché la corrente elettrica era a buon mercato vista la presenza molte aziende idroelettriche locali.

Pechino ha di fatto bloccato le operazioni e quindi i “minatori” hanno iniziato a cercare altri luoghi con energia a buon mercato e governi più amichevoli. Molti si sono diretti verso il Canada e verso il Quebec, ricco di risorse idriche, e nel vicino stato americano di Washington; fino a che i governi non hanno ricordato loro che l’energivoro mini di bitcoin ha un costo. Oggi, molti dei minatori di criptovaluta sembrano trovarsi nell’Europa settentrionale. L’Islanda ha fatto notizia il mese scorso dopo che nell’isola con un rassodi criminalità molto basso, si è registrata un’ondata di furti di server per bitcoin con 11 arresti, riporta Coindesk. Per la polizia, il recente boom delle miniere di bitcoin, ha portato anche a far sì che il paese fosse appetibile per la criminalità organizzata d’”oltremare”.

All’Islanda si è aggiunta la Norvegia: la canadese Hive Blockchain Technologies ha appena annunciato di aver acquistato Kolos, proprietario di un centro dati americano-norvegese, riporta il sito della società. La rete elettrica della Norvegia è al 100% rinnovabile e Kolos sta attualmente costruendo il più grande centro dati del mondo, a Ballangen, 225 chilometri a nord del Circolo Polare Artico. Hive afferma che ora utilizzerà il sito per le sue attività relative alle infrastrutture per blockchain e crittografia.

Ballangen è molto a nord ed è naturalmente raffreddato dal clima; è vicino a un abbondante approvvigionamento di energia idroelettrica, acquistabile secondo Hive a prezzi vantaggiosi.

A sua volta Hive, riporta Asia Times, si unirà al fornitore di attrezzature per il mining   americano, Bitfury, che ha aperto un nuovo centro dati minerario in Norvegia. Attualmente la Norvegia non ha norme specifiche che limitino il commercio crypto o la loro creazione e, anzi, ha dato vita a un regime liberale di criptazione fiscale; gli investitori devono pagare un’imposta del 25% sulle plusvalenze di capitale ma, a differenza degli Stati Uniti, le perdite possono essere ammortizzate.

Maddalena Ingrao