Norme Ue per la tracciabilità delle carni

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È dell’8 aprile la notizia che i carabinieri del Nas (Nucleo anti sofisticazione) di Udine, nell’ambito di un’operazione che si è svolta in contemporanea in tutta Italia, hanno sequestrato 220 chili di carne in ristoranti e macellerie, principalmente nella Bassa e in Carnia.

Vietata la vendita anche per cinque capretti macellati in modo clandestino o privi della tracciabilità. La carne sequestrata, sia bovina che ovi-caprina, era mancante delle indicazioni della provenienza. A Roma il 5 aprile una persona è stata denunciata all’Autorità Giudiziaria per violazioni alla normativa sanitaria e per detenzione di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, mentre un capannone, una cella frigorifera e 35 capi macellati sono stati sequestrati: questi i risultati provenienti dalla scoperta di un centro di macellazione clandestina di ovini da parte dei finanzieri del Comando Provinciale; il centro si trovava all’interno di un’azienda agricola alle porte della Capitale, nella zona del Divino Amore. E i controlli non si sono fermati. 

Banditi più di 3000 kg di prodotti alimentari, principalmente carni, pesce, dolci pasquali, frutta, prodotti caseari e uova. Questo è quanto riferito dal Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari dopo numerosi controlli effettuati in più di 56 aziende. Si parla di 100mila euro di sanzioni dovute alle irregolarità riscontrate all’interno dei circuiti commerciali, riguardanti in particolar modo prodotti ortofrutticoli messi in vendita senza che venissero segnate le indicazioni sulla tracciabilità, sull’etichettatura, nel rispetto delle norme previste dal Dop/Igp, riguardanti anche la genuinità dei prodotti.

E diventa ancor di maggiore attualità la discussione a livello europeo sulla tracciabilità della carne bovina dall’allevamento alla tavola passando per il macello e il trasporto: le regole attuali, abbastanza rigide ma poco uniformi nell’applicazione da Stato a Stato, furono introdotte nel 1997 per far fronte alla temuta epidemia di encefalopatia spongiforme, cioè la Bse meglio nota come “mucca pazza“.

Queste regole hanno funzionato, tanto è vero che oggi chi acquista la carne bovina è abbastanza sicuro che sia sana. Allo stesso modo il mercato della carne, crollato in pochi mesi quando i consumatori videro in televisione le vacche malate che non reggevano in piedi, si è ripreso fin troppo bene e oggi il consumo di carne (bovina e non solo) è in forte crescita con un notevole impatto sull’ambiente.

Con la normativa europea attuale l’allevatore è obbligato a utilizzare i marchi auricolari sui propri capi. Cioè quelle strane etichette gialle con il numero identificativo dell’animale che si applicano alle orecchie di vacche e vitelli da carne. Oltre all’etichettatura, poi, c’è oggi per gli allevatori l’oneroso compito di tenere i registri dei propri animali con tutti gli eventuali trasferimenti in modo che, se la carne ha un problema, si possa sapere in fretta da che animale viene e quale sia stata la sua storia.

La tecnologia, però, dal 1997 a oggi ha fatto passi da gigante e offre adesso soluzioni più efficienti per tracciare la vita e la morte degli animali. Il futuro potrebbe essere nei chip Rfid a radiofrequenza. Sono dei minuscoli processori in grado di comunicare con un lettore a distanza, senza un collegamento fisico. Per capirne il funzionamento basti pensare ai microchip obbligatori per i cani domestici, che funzionano in maniera del tutto simile.

Applicare i chip Rfid ai capi di bestiame potrebbe velocizzare di molto i controlli veterinari, facilitare lo scambio di informazioni in caso di animali che hanno cambiato molte volte allevamento e, in breve, permettere una tracciabilità più accurata senza gravare gli allevatori di ulteriori registri e incombenze.

Per gestire il sistema, però, servono attrezzature che costano e non sempre sono facili da utilizzare per chi non è avvezzo alla tecnologia. E molti allevatori non giovani spesso non lo sono. L’Europa, per questo, si avvia a introdurre la tracciabilità tramite Rfid ma solo in forma volontaria, in modo da sperimentarne i vantaggi e gli eventuali problemi di gestione.