MYANMAR. La CPI apre un inchiesta per le strage dei Rohingya

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La Corte penale internazionale ha aperto un’indagine preliminare sui crimini dell’esercito del Myanmar, tra cui uccisioni, violenze sessuali e deportazioni forzate, contro membri della minoranza musulmana Rohingya nella nazione del sud-est asiatico.

Il procuratore Fatou Bensouda esaminerà se ci sono prove convincenti che giustifichino un’indagine completa sulla repressione militare del Myanmar, che ha causato la morte di migliaia di musulmani rohingya e costretto molti altri a fuggire nel vicino Bangladesh: «Ho deciso di procedere alla fase successiva del processo e di effettuare un vero e proprio esame preliminare della situazione», ha detto Bensouda in una dichiarazione.

Secondo Bensouda, la prima fase dell’indagine «può prendere in considerazione una serie di presunti atti coercitivi che hanno portato allo sfollamento forzato del popolo rohingya, tra cui la privazione dei diritti fondamentali, l’uccisione, la violenza sessuale, la scomparsa forzata, la distruzione e il saccheggio». Il procuratore ha osservato che esaminerà anche se altri crimini possono rientrare nella difficile situazione dei rohingya «come i crimini di persecuzione e altri atti disumani».

L’annuncio della Cpi è arrivato lo stesso giorno in cui le Nazioni Unite hanno ribadito il loro appello a perseguire i vertici militari del Myanmar per quello che l’organismo internazionale ha descritto come genocidio contro i musulmani rohingya. Gli investigatori dell’Onu hanno detto che i rohingya hanno subito quattro dei cinque atti proibiti definiti come genocidio per mano dell’esercito del Myanmar nello stato nord-occidentale di Rakhine.

Il rapporto delle Nazioni Unite ha anche detto che i militari del Myanmar dovrebbero essere espulsi dalla vita politica e privati di ulteriore influenza sul governo del paese. Il governo civile «dovrebbe perseguire ulteriormente la rimozione del Tatmadaw (l’esercito) dalla vita politica del Myanmar”, si legge rapporto delle Nazioni Unite. Nel frattempo, Amnesty International ha definito un «grande atto che la Corte penale internazionale abbia aperto questa importante via alla giustizia per i rohingya (…) per mantenere lo slancio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve riferire la situazione in Myanmar alla Cpi per assicurarsi di poter indagare su tutti i crimini secondo il diritto internazionale» recita un post di Amnesty su Twitter.

Migliaia di musulmani rohingya sono stati uccisi, feriti, arrestati arbitrariamente o violentati dai soldati del Myanmar e dagli oltranzisti buddisti, soprattutto tra novembre 2016 e agosto 2017, quando molti dei membri superstiti della comunità hanno iniziato a fuggire in massa in Bangladesh. La difficile situazione dei musulmani rohingya ha attirato l’attenzione occidentale solo di recente. I Rohingya, che vivono in Myanmar da molto tempo, non hanno la cittadinanza e sono immigrati clandestini in Bangladesh, paese che nega loro la cittadinanza ma che ha concesso loro rifugio per motivi umanitari.

Maddalena Ingrao