Possibile implosione della bolla monetaria

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ITALIA – Milano. 23/4/13. Potrebbe essere iniziata nelle ultime due settimane la prima fase della presa di profitto sulle commodities, possibile preludio all’innesco di un processo più ampio di sgonfiamento o implosione della bolla monetaria che si è andata gonfiando soprattutto dal 2008 a seguito della politiche di quantitative easing implementate formalmente dalla Federal Reserve e informalmente dalle altre principali banche centrali.

 

Va ricordato che i tassi a breve di USA e area Euro sono scesi vertiginosamente dal 2007 in avanti, passando da circa il 5% allo 0.2%-0.5% del 2012, una situazione che non ha precedenti nella storia e certamente non è sostenibile specialmente dagli USA. La massa monetaria (M2) area dollaro ed euro è cresciuta in maniera considerevole, passando da $7.500 miliardi del 2007 a $10.500 miliardi del 2012 con un incremento del 40%, rispetto al +20% di M2 su Euro. Complessivamente, il mercato è stato inondato di liquidità.
Ciononostante, la recessione è avanzata e la liquidità aggiunta non si è tradotta in maggiori consumi in quanto è scattata la “trappola della liquidità”. Il credito alle piccole e medie imprese si è ingessato perché le banche hanno trattenuto la liquidità e la hanno investita in titoli pubblici e strumenti monetari, e tra questi l’oro ha rappresentato il classico bene rifugio dove sono stati allocati gli eccessi di cassa. Tutto ciò può anche essere socialmente deprecabile ma è economicamente coerente con tassi prossimi allo zero, una situazione che disincentiva le banche a prestare alle imprese assumendosi rischi controparte smisurati rispetto ai bassi tassi praticabili sugli impieghi.
A ciò va aggiunto che azioni, obbligazioni e materie prime sono ai massimi storici di tutti i tempi e, ciò che più conta, le rispettive quotazioni si sono mosse in maniera fortemente correlata negli ultimi 3 anni, fenomeno rarissimo e preoccupante che si spiega soltanto con l’esistenza di un’anomala massa monetaria che si è riversata a pioggia sull’economia facendo salire fittiziamente i prezzi e facendo saltare le relazioni economiche tra gli aggregati. A titolo di esempio, un aumento del prezzo delle materie prime dovrebbe indicare un potenziale inflattivo e quindi impattare negativamente sugli indici azionari, ma così non è stato.
È soprattutto quest’ultima evidenza a suggerire che la bolla monetaria in atto potrebbe esplodere nei prossimi mesi partendo proprio dalle prese di profitto su uno dei tre grandi mercati, non diversamente da quanto avvenne a Maggio 2007 con le prese di profitto sui mutui ipotecari che fecero da detonatore alla bolla immobiliare e da quanto avvenne nell’autunno del 2000 sui titoli tecnologici cui seguì una violenta correzione del mercato borsistico e successivamente dell’economia nel suo complesso.
La marcata correzione delle quotazioni dell’oro di questi ultimi giorni fanno segnare una possibile inversione del trend di lungo termine del prezzo della materia prima e potrebbe rappresentare l’innesco per l’implosione della bolla monetaria che si trascina dietro anche gli altri mercati.
Va tenuto presente che sulla base di considerazioni sia tecniche che fondamentali i principali indici di borsa hanno uno spazio di correzione al ribasso che in taluni casi raggiunge il 40-50% rispetto ai livelli di oggi, con un S&P500 che potrebbe correggere almeno fino a quota 800, mentre i tassi a breve potrebbero facilmente subire pressioni al rialzo e tornare sopra al 2-3% specie allo scopo di sostenere le emissioni di titoli pubblici a breve scadenza.
L’effetto combinato di questi ed altri fattori potrebbe essere decisivo sull’economia reale ed in particolare sui consumi e sugli investimenti a causa del noto effetto di impoverimento che si accompagna alla contrazione del valore dei beni di investimento. Tale implosione può avere un impatto rilevante a livello globale ma è destinata a colpire soprattutto quei Paesi che, come l’Italia, sono già in recessione, stanno esaurendo le riserve di risparmio, continuano sulla strada dell’austerità sebbene abbiano una domanda interna molto debole e, dulcis in fundo, devono accontentarsi di una quasi-banca centrale.