LIBRI. Sbarcati sulle coste del Lazio un gruppo di profughi: li guida Enea

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«Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit litora, multum ille et terris iactatus et alto vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, multa quoque et bello passus, dum conderet urbem inferretque deos Latio…»

Questo è l’incipit dell’Eneide, composta dal mantovano Publio Virgilio Marone, poema epico dalla vitalità incredibile e dalla ricchezza narrativa e mitica che non hanno rivali, se non nelle precedenti opere omeriche.

L’Eneide, ridotta all’essenziale e narrata come un fatto di cronaca odierna, è la storia di un gruppo di profughi fuggiti ad un genocidio che vagano nel Mediterraneo, guidati da un gruppo di militari che cercano di trovare un nuovo spazio per ricominciare a vivere. In questa ricerca si imbattono in altre culture, vivono amori e fanno scoperte, fino sbarcare sulle coste dell’odierno Lazio dove si stabiliscono. Chi li guida è Enea, figlio di Anchise, un nobile locale nonché capo militare; sconfitto e fuggito dalla terra che difendeva, pur non essendo la sua.

La cronaca contemporanea ci ha riportato infinite volte storie di fuggiaschi da guerre e fame che cercano scampo altrove. Il mito di Enea può essere letto anche così, infatti. La sua mitopoiesi, però, è molto più complessa e frastagliata: con vicende secondarie che sembrano contraddire la narrazione mainstream, quella che lo vide esule da Troia, arrivare nel nord Africa, dove incontra la regime Didone, e poi finire sulle coste laziali, dove la sua discendenza fonda Roma. Il mito di Enea e quindi il mito di Roma immortale sono fusi, l’opera virgiliana, letta e studiata fin da subito, è una fucina di miti essa stessa al cui ricco bacino attingeranno romani, barbari e grandi dinastie cinquecentesche; arabe comprese.

L’ottimo testo di Mario Lentano, docente di lingua e letteratura latina all’Università di Siena, Enea (edito da Salerno Editrice) è appunto tutto questo: il tentativo dello svelamento, anzi della ricostruzione della figura di Enea, quasi fosse un uomo in carne e ossa, e del suo potente portato culturale e mitologico, caratterizzato da una grande fluidità e ricchezza, al di qua e al di là dei cleavages culturali fra Occidente e Oriente.

Enea è un eroe omerico, ma non una star, è un’«eroe del backstage», cioè è una seconda fila del mito troiano, cha ha una caratteristica particolare: nell’Iliade si dice che Enea si salverà dalla distruzione perché così vogliono gli dei, e quindi Enea, figlio di Afrodite e Anchise, darà vita ad una serie di re.

Tutto il resto è mito e storia, romana prima, medievale poi, e rinascimentale, incentrato sulla storia di un profugo alla guida di un gruppo di profugo, displaced people usando la terminologia Onu, come ne leggiamo tante sulle colonne dei giornali di mezzo mondo, e quelli dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, soprattutto, lo stesso mare che nel mito fu solcato da Enea (e da Ulisse, ma questa è un’altra storia).

Antonio Albanese