LIBRI. Montagna maestra di vita

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Paolo Cognetti, l’autore del libro Le otto montagne e vincitore del premio Strega 2017, ci prende per mano e ci racconta, con grazia evocativa, la vita di Pietro, un ragazzo di città che cerca la propria identità e scopre la montagna; un mondo severo, implacabile e apparentemente immobile che gli graffia l’anima e lo porta ad esplorare i propri limiti emotivi e i conflitti interiori nel corso della sua vita.

Una storia che solca gli anni 80 e arriva sino ai nostri giorni. La famiglia Guasti scopre, nel nordovest italiano, un paesino montano di 14 anime alle pendici del Monte Rosa, Grana, e decide, ogni anno, di passarci le vacanze estive.

Una madre attenta ed empatica che gestisce gli equilibri interni della famiglia, un padre in continua lotta con il mondo che solo in montagna, tra i suoi sentieri selvaggi, ritrova la strada della propria esistenza.

In questo contesto conosciamo Pietro Guasti e Bruno. Il primo è un ragazzo di città introverso e incline al desiderio della solitudine, il secondo è un ragazzo di Grana, un montanaro, cresciuto in fretta e costretto ad essere uomo in un mondo aspro e privo di calore umano. I due diventeranno amici e la loro differenza sarà il motivo del loro legame, dove ognuno riuscirà a vedere nella solitudine dell’altro e per questo a capirsi.

Un mondo fatto di odori, di colori e sensazioni epidermiche, dove il passato-presente confina con il futuro grigio delle città e dove il filtro cognitivo di ogni personaggio trova la propria giustificazione nel vissuto di ognuno.

Una sorta di “lessico emotivo” che si dipana su più registri; il difficile rapporto con il padre, la confortante presenza della madre, l’interazione di entrambi nei propri ruoli familiari, l’amicizia fraterna con Bruno e l’ascolto intimo di se stesso in relazione a tutti questi mondi sarà l’occasione per conoscere a fondo il bambino, il ragazzo e l’uomo.

Da un estratto del libro:

«Negli ultimi tempi mi ero rintanato in un angolo da cui osservavo la nostra vita familiare con un occhio impietoso. Le abitudini inestirpabili dei miei genitori, le innocue sfuriate di mio padre e i trucchi con cui mia madre le arginava, le piccole prepotenze e i sotterfugi a cui non si accorgevano più di ricorrere. Lui emotivo, autoritario, insofferente, lei forte e tranquilla e conservatrice. Il modo rassicurante di fare sempre la parte sapendo che l’altro farà la sua: non erano vere discussioni le loro, ma recite di cui ogni volta prevedevo il finale, e in quella gabbia finivo per essere rinchiuso anch’io».

Nel gioco di chi ogni volta parte, Pietro, e di chi resta, Bruno, il tempo scorrerà implacabile e l’imperitura montagna sarà il testimone del tempo andato, della loro salda amicizia e nella sua maestosità ci ricorderà di quanto l’uomo possa essere piccolo di fronte alla natura.

Con Pietro scopriamo nuovi sentieri e impariamo a riconoscere i segnali della terra per orientarci, inseguiamo gli odori di stagione, troviamo l’andatura giusta, ascoltiamo il dolore della fatica e impariamo a gestire il mal di montagna. Dal padre apprende ad amare visceralmente la montagna e come lui a sentire quel senso di estraneità quando è costretto a stare in città.

«Così adesso conoscevo anch’io la nostalgia della montagna, il male da cui per anni l’avevo afflitto senza capire…»

Il ricordo e la sua rielaborazione malinconica sembra essere quell’opportunità per riconciliarsi con quel passato che non è riuscito a spiegarsi, nella sua completezza, quando era solo presente…

In questa occasione la non presenza, l’assenza dell’altro, sarà l’occasione per la ricerca di un’altra verità.

E così scopriamo che un padre prima di essere tale è, come tutti, una persona con le sue imperfezioni.

L’amicizia tra Pietro e Bruno sarà anche l’occasione per marcare quei confini montani dove quell’antico e ostinato modo di vivere la montagna sta scomparendo e dove la morte, quando si decide di vivere la montagna, è una possibilità plausibile.

Paolo Cognetti riesce, con il suo stile preciso ed essenziale, ad osservare la molteplicità degli aspetti che compongono contemporaneamente la persona. Pietro lo conosciamo non attraverso il racconto della sua vita, bensì attraverso la sua interpretazione cognitiva nei confronti della propria vita.

«Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene. La sua era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scomparte, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre. Dopo tre ore di cammino i prati e i boschi lasciavano il posto alle pietraie, ai laghetti nascosti nelle conche glaciali, ai canaloni solcati dalle slavine, alle sorgenti di acqua gelida. La montagna si trasformava in un luogo più aspro, inospitale e puro: lassù lui diventava felice. Ringiovaniva, forse, tornando ad altre montagne e altri tempi. Anche il suo passo sembrava perdere peso e ritrovare un’agilità perduta».

Un libro con uno stile classico, dove la singola parola riesce con precisione nel suo intento evocativo. Una lettura fluida che somiglia ad un flusso di coscienza. 

Simone Lentini

Le otto montagne
Paolo Cognetti

Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno edizione: 2016
Pagine: 208 p., Rilegato
EAN: 9788806226725