LIBRI. La memoria di un uomo onesto

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Il 17 Giugno del 1983, Enzo Tortora viene arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di armi e droga (art. 416 bis). 

Al momento dell’arresto, esattamente alle quattro e un quarto di quel mattino,  Enzo Tortora si trovava all’Hotel Plaza di Roma perché in quel periodo stava lavorando alle registrazioni del programma di Retequattro “ Italia Parla”, condotto con Pippo Baudo.

La procura di Napoli decide di emanare l’ordine di arresto per il presentatore genovese dopo la confessione di due criminali pluriomicidi condannati all’ergastolo, Pasquale Barra e Giuseppe Pandico, affiliati alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Gentilmente rinominati dalla giustizia italiana “collaboratori di giustizia”.

Il 15 Settembre 1986, dopo 1185 giorni, Enzo Tortora è assolto con formula piena dimostrando l’inattendibilità dei pentiti.

Il 18 Maggio 1988 Enzo Tortora muore di cancro.

Questo libro,  Cara Silvia. Lettere per non dimenticare, propone il carteggio epistolare di alcune lettere di Enzo Tortora con la figlia Silvia durante quegli infernali  1185 giorni di prigionia fisica e mentale.

Quando ho cominciato a leggere questa selezione di lettere ho da subito percepito, oltre l’umana rabbia e la delusione, la forza interiore che solo un cuore puro, quando ferito, può emanare e che, nonostante l’ingiustizia subita, spera e tenta di proteggere i propri cari dallo tsunami infamatorio che lo ha colpito e di riflesso si è riversato su di loro. Ogni lettera è firmata “Papà”.

Quella parola “Papà” è un atto immenso di amore che vuole a tutti i costi preservare l’unicità del loro “lessico famigliare”, citando Natalia Ginzburg, per mantenere quella vicinanza quotidianamente conquistata e per difendere l’unica cosa che rende un papà invincibile: l’amore per i propri figli. In molte lettere Il Papà apostrofa Silvia chiamandola “Pallerina”; un loro codice, una loro storia privata, un vissuto straordinario di quel viaggio chiamato amore.

«Ogni sera guardo la tua fotografia e, prima di addormentarmi, mi vedo sul tuo lettino a leggerti Pinocchio, mentre ti massaggiavo un piedino. Ora Geppetto è nei guai, ma con un Pinocchietto come te ne sono certo anch’io: passerà tutto.

Con amore infinito

Papà».

Ho voluto mettere in risalto questo aspetto del libro perché l’infamante odissea giudiziaria di Enzo Tortora si rivela essere, loro malgrado, una possibilità per la figlia e per il Papà di valicare la forma apparente dei  propri ruoli generazionali, per far brillare di luce propria quell’amore reciproco, seppur con dinamiche diverse, che sostiene entrambi e li unisce nella lotta verso la verità, senza mai perdere la tenerezza.

La denuncia al sistema carcerario italiano è un urlo feroce che non trova orecchie perché l’indifferenza è troppo occupata a far rumore.

«Quello che non si sa è che una volta gettati in galera non si è più cittadini ma pietre, pietre senza suono, senza voce, che a poco a poco si ricoprono di muschio. Una coltre che ti copre con atroce indifferenza. E il mondo gira, indifferente a quest’infamia».

Enzo Tortora è un uomo ferito a cui i biechi manipolatori della giustizia non riescono a portar via la dignità, anzi il loro atteggiamento rafforza la volontà di combattere e quel sentimento di rabbia e frustrazione che spesso incontriamo nelle pagine del libro aiutano a trasformare quell’energia distruttiva in un simbolo di lotta contro un sistema che esclude gli ultimi.

La giustizia in sé viene violentata dalle persone che hanno il potere di usarla svelando meccanismi dittatoriali in un paese dove la legge non è uguale per tutti e dove la storia di una persona onesta rischia di essere cancellata e riscritta dal cannibalismo dei media.

«Tu sai che io ho definito il processo di Napoli il più grande esempio di macelleria giudiziaria che avvenga in Occidente, dallo sbarco dei Turchi in giù. Mi batto e lo sai: mi batterò fino in fondo. Sono, come puoi immaginare, sfinito. Non ti annoio con quanto ho fatto, quanto ho corso, quanto ho sputato sangue. Ma ho la coscienza che altro non avrei potuto fare. Spero che tu, un giorno, riveda nella sua luce, atroce, questa vicenda: che è vicenda del mio e tuo Paese”.

Ringrazio Silvia Tortora per aver dato vita alla memoria di un uomo onesto che sapeva amare.

Provo vergogna per Il mio paese, l’Italia, per aver infangato la memoria di un uomo onesto che sapeva amare.

Simone Lentini 

Cara Silvia. Lettere per non dimenticare
Enzo Tortora

Editore: Marsilio
Collana: Le Maschere
Edizione: 2
Anno edizione: 2003
Pagine: 112 p.
EAN: 9788831782838