LIBRI. Capaci e via D’Amelio legate alle agende di Falcone 

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«Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana». Così la Corte di Assise di Caltanissetta, in una motivazione lunga 1865 pagine, accusa dei servitori dello Stato, infedeli, che imbeccarono, ad arte, piccoli criminali, facendoli diventare degli uomini d’onore di Cosa Nostra che  tradivano l’Onorata società, per costruire una falsa verità sugli autori dell’attentato al giudice Borsellino. La corte d’assise di Caltanissetta fa riferimento al gruppo che indagava sulle stragi del ’92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia, oggi deceduto.

Sarebbero stati loro a indirizzare l’inchiesta creando una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato attraverso «una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell’agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte». Lo scopo di un simile depistaggio? La corte avanza ipotesi come la copertura di fonti rimaste nascoste «evidenziata dalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee al loro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà»; «l’occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato». Borsellino stava indagando proprio sull’attentato che aveva ucciso Giovanni Falcone.

A 26 anni dalla strage di Capaci, stanno venendo fuori “verità nascoste” su Giovanni Falcone, nascoste all’interno delle sue agende elettroniche, analizzate e poi inspiegabilmente messe nel dimenticatoio. Il libro-inchiesta di Edoardo Montolli, I Diari di Falcone, Chiarelettere, parte proprio dal mistero delle agende personali di Falcone che, assieme a quella rossa dell’Arma dei Carabinieri di Borsellino, hanno fatto sempre paura. Se per quella Borsellino è oggi stata acclarata la responsabilità di La Barbera, quelle di Falcone, esaminate dai periti Gioacchino Genchi, successivamente al centro di complesse questioni giudiziarie, e Luciano Petrini, trovato assassinato in casa nel 1996, senza che la sua porta di casa fosse stata forzata, lumeggerebbero scenari ben diversi e già ampi rispetto ai quali si sia sempre pensato al caso della strage di Capaci. 

Le agende riportano i presunti incontri del giudice «con funzionari russi per indagare sui finanziamenti clandestini del Pcus», ad esempio. Montolli ricostruisce «gli incontri tra Falcone e Valentin Stepankov, all’epoca procuratore generale russo che indagava sui finanziamenti occulti all’estero del Pcus (…) All’epoca, il governo in carica aveva stabilito per la prima volta eccezionali rapporti commerciali con la Russia e dalle agende emergeva il ruolo di Falcone nel delicato compito di gestire il caso di un episodio di spionaggio ai danni della Nato da parte di un funzionario dell’ex Urss, al quale era stata infine concessa la grazia».

Altra domanda che Montolli pone a tutti i lettori è come sia stato possibile «che la mafia sapesse il giorno e la data del suo viaggio a Palermo», data a quanto pare fuori dagli schemi usuali dei suoi viaggi siciliani; seguita poi dagli interrogativi sul «viaggio di Falcone a Washington», che non risulta altrove, e infine dove è stato Giovanni Falcone «tra il 28 aprile e il primo maggio precedenti l’attentato».

Montolli, poi, collega alle agende anche la strage di via D’Amelio: «A fine maggio 1992 Borsellino avrebbe dovuto prendere in mano l’inchiesta sulla strage di Capaci, su cui già indagava» da solo, senza averne titolarità.

L’ultima pronuncia nissena probabilmente riaprirà le indagini con l’intenzione di scoprire chi e perché lasciò saltare in aria le due punte di diamante della magistratura italiana e la loro coraggiosa scorta; cambiando tragicamente la storia del nostro paese. 

Antonio Albanese