C’è libertà di stampa nel MENA?

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ITALIA – Roma 20/05/2016. «Trentacinque giornalisti arabi sono stati licenziati a partire dall’inizio di aprile a seguito di una campagna di intimidazione e terrorismo condotta contro di loro da Hamas e Hezbollah».

Così apre un servizio di Khaled Abu Toameh, giornalista arabo che vive a Gerusalemme, apparso ieri sul furto del Gatesotne Institute. I giornalisti stavano lavorando per Al-Arabiya, che ha sede a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. «La vita per i reporter di Al-Arabiya non è mai stato facile. Come la maggior parte dei giornalisti arabi che coprono i paesi arabi e islamici, anche loro hanno affrontato minacce di vari partiti e governi» scrive Abu Toameh, «Questo è il triste stato del giornalismo nel mondo arabo: “Se non sei con noi, allora devi essere contro di noi ed è per questo che abbiamo bisogno di chiuderti la bocca”», prosegue la denuncia di Abu Toameh. questo sta di fatto ha costretto, denuncia il giornalista arabo, molti cjoleghi arabi a trasferirsi in Occidente: negli ultimi quarant’anni, molti giornalisti e scrittori di tutto il mondo arabo si sono trasferiti in Francia e Gran Bretagna, per timori sulla propria vita. «Nel mondo arabo, la libertà dei media resta un sogno inverosimile. Lì, se non si è minacciati dal governo, c’è sempre qualcun altro che trova un motivo per averti come bersaglio», come nel caso di al Arabiya. L’emittente questa settimana aha chiuso la corrispondenza dalla Striscia di Gaza, otto redattori, tre anni dopo che il governo di Hamas ne aveva chiuso. Nella comunicazione dlel’editore ai redattori si legge, riprova il giornalista arabo: «Apprezziamo il vostro lavoro con noi durante il periodo precedente. Siete stati tutti un esempio di prestazione professionale, ma è giunto il tempo dia una difficile decisione dopo aver esaurito tutti i tentativi di riaprire gli uffici, forzatamente chiusi, come sapete, dal partito che controlla la Striscia di Gaza», cioé Hamas. Hamas ha chiuso l’ufficio di corrispondenza a Gaza di Al-Arabiya nel luglio 2013, per aver trasmesso «notizie false» sulla situazione nella Striscia di Gaza, confiscando attrezzature per 500mila dollari. «Questa settimana» prosegue Abu Toameh, «agenti di sicurezza dell’Autorità Palestinese hanno arrestato il giornalista Tareq Abu Zeid a Nablus dopo aver confiscato il suo personal computer e il telefono cellulare», senza darne nessuna ragione. Anche il Libano non è più in grado di difendere i giornalisti da minacce e violenze: ad aprile «Al-Arabiya ha chiuso i suoi uffici a Beirut, citando “problemi di sicurezza”. In una dichiarazione, la stazione di proprietà saudita ha detto che la decisione di chiudere Beirut è stata presa “per la preoccupazione per la sicurezza” dei suoi 27 dipendenti. Si pensa che la decisione sia il risultato diretto delle minacce da parte di Hezbollah, furioso con l’Arabia Saudita e altri paesi arabi per la loro recente decisione di etichettare la milizia sciita come gruppo terroristico».

A questi episodi, aggungiamo noi, ne vanno uniti altri, come quello egiziano, in cui la mobilitazione contoril governo di al Sissi e le sue misure restrittive sta mettendo in crisi il sistema; o quello turco, che ha visto condannato il direttore di un quotidiano nazionale e un suo corrispondente, per aver, con un scoop incredibile quanto tradizionale, rivelato il classico “intrigo” internazionale collegato al dramma della Siria, sbugiardando di fatto le posizioni ufficiali del govenro di Ankara.