Serra: senza Unifil non ci sarebbe pace in Libano

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Reportage dal nostro inviato in Libano. 

LIBANO – Naqoura 31/7/2013. La missione UNIFIL, United Nation Interim Force in Lebanon (Forza Onu di Interposizione in Libano) dura ormai da 38 anni. Dopo tanto tempo ci si potrebbe domandare il senso di una così lunga permanenza nella parte meridionale del paese dei cedri, di cui si parla poco e si sa quasi nulla.

Eppure questa è una delle zone più a rischio del Medio Oriente. Troppo spesso i riflettori dei media si accendono solo quando c’è una tragedia da raccontare. Le forze internazionali hanno il compito di garantire la pace e la stabilità al confine tra due paesi che certo non si possono dichiarare amici, Libano e Israele, ed è questo che si ha il dovere di non dimenticare.

Il Generale di Divisione Paolo Serra è l’attuale Force Commander di Unifil, a soli due anni di distanza è ancora una volta un italiano al comando dello schieramento di 12mila, tra uomini e donne, di 37 diverse nazioni; per l’Italia e per le Forze Armate questo rappresenta un attestato di stima e di fiducia da parte della comunità internazionale. In una sua intervista presso la base di Naqoura è proprio lui a sottolineare che «la professionalità, la competenza, e l’approccio comprensivo con le istituzioni e la popolazione locale, tipici del soldato italiano, sono apprezzati a livello internazionale. È determinante il nostro ruolo all’interno del contesto libanese e, a livello politico, il riconoscimento di imparzialità sul terreno da parte sia di Libano che di Israele». Il Generale Serra chiarisce e contestualizza l’importanza della missione, senza la quale il progetto di pace si sarebbe certamente interrotto da tempo. La risoluzione Onu 1701 si può riassumere in tre pilastri: monitoraggio del cessate il fuoco; supporto all’esercito libanese affinché un giorno possa autonomamente gestire la sicurezza del sud; assistenza alla popolazione. Come sappiamo in questa regione del sud l’incidenza della comunità sciita raggiunge il 90%, ciò determina una forte presenza dei partiti Hezbollah e Amal, «Hezbollah» prosegue il generale «fa parte del tessuto sociale della popolazione che continua ad avere aspettative da parte loro. Dal 2006 la situazione è cambiata con la risoluzione dell’Onu 1701 non c’è più, almeno esteriormente, una presenza di Hezbollah intesa come presenza di uomini in uniforme, non c’è personale armato e non ci sono checkpoint; ci siamo solo noi di Unifil e le Forze Armate Libanesi che controllano il territorio. Sempre dal 2006 le Laf (Lebanese Armed Forces) hanno oltrepassato il fiume Litani e stanno producendo uno sforzo importante e decisivo che, attraverso il processo di strategic dialogue, le porterà ad un livello totale di autonomia, grazie al supporto Unifil, e in un futuro potranno stare su un piano paritetico per poter discutere di pace.

La nostra collaborazione però non si limita solo al supporto alle Laf, ma si concretizza anche nella capacità di favorire il dialogo tra i due paesi, che di fatto non hanno relazioni diplomatiche. Periodicamente ha luogo un incontro tripartito, Unifil, Libano e Israele a Ras Naqoura o Rosh Hanikra (a seconda della lingua). Loro non si parlano direttamente: si rivolgono a noi e noi trasmettiamo il messaggio alla controparte: sembra un film in bianco e nero dei tempi della Guerra Fredda. Oggi Unifil rappresenta una forza di deterrenza, sviluppata attraverso attività di controllo e di contatto con le parti».

Il contatto con gli uomini delle istituzioni locali è quotidiano, ci si occupa anche delle infrastrutture e delle esigenze dei piccoli comuni sparsi sul territorio: dalle strade al computer per la scuola, cose che permettono ad un popolo però di riappropriarsi di una vita normale e di un futuro. Lungo le strade spesso ci sono i cartelli di ringraziamento al contingente che ha effettuato i lavori.

«Il 70% delle mie forze sono a gravitazione della Blue line: la linea di demarcazione fra i due paesi. Non è un confine ma soltanto una linea di riferimento che dipende dal ripiegamento delle Israeli Defence Forces nel 2000. Devo dire che oggi le violazioni sul terreno sono minime».

Unifil attualmente ancora di più rappresenta l’elemento fondamentale per il mantenimento di un equilibrio precario che potrebbe saltare da un momento all’altro. «Entrambi i paesi si fidano di noi» continua Serra «e noi interveniamo come forza di interposizione. Se Unifil lasciasse il campo qui al sud, in poco tempo il rischio di degenerazione della situaizone è davvero molto elevato, vista la probabile riapertura delle ostilità; non c’è ancora la consapevolezza di quanto sia importante mantenere la pace». Per le strade qui al sud la presenza dei caschi blu è sentita e gradita, al passaggio dei blindati i bambini  salutano, sorridono ed proprio come ci ha raccontato il Generale:  popolazione e Unifil ormai vivono in simbiosi. «Tra l’altro continuiamo ad essere il maggior fornitore di lavoro per il sud; presso l’Onu nella mia forza ci sono 750 locali che lavorano come impiegati, e costituiscono parte di un alto apparato burocratico. La ricaduta a livello sociale sulle famiglie è notevole, non solo per i diretti dipendenti, ma anche per fornitori, perché tutti i lavori vengono fatti con ditte locali». Ci sono anche interventi nelle scuole: educazione, informazione ai bambini sui territori ancora non bonificati dalle mine, uso dei laboratori della Green Hill, l’area tecnica del campo messa a disposizione degli istituti tecnici per fare pratica. Insomma come Serra stesso sostiene è un ingaggio onnicomprensivo che vede i caschi blu agire a 360 gradi. 

Il comandante Unifil non si tira indietro dal parlare anche del problema dei rifugiati, nonostante sia di competenza di altre agenzie Onu: Unhcr, per i rifugiati e l’Unrwa, per i profughi palestinesi, confinati nei campi ormai dal lontano 1948: «I rifugiati sono un grosso problema, anzi non è giusto dire che sono il problema, loro sono la conseguenza di un problema. Dall’inizio della guerra in Siria si contano in tutto il Libano 600mila  nuovi profughi registrati e altrettanti in attesa di registrazione. Quindi su una popolazione di 4 milioni di abitanti avere più di un milione di rifugiati e profughi è davvero molto impegnativo: è come se in Italia ne contassimo 20 milioni. Presto arriverà l’inverno è il problema sarà ancora più sentito, la comunità internazionale in questo settore deve veramente mettere non solo la faccia ma anche le risorse. Il messaggio che ho dato a tutte le mie truppe è molto chiaro, deve sempre essere comunque gestita l’emergenza rifugiati, poi siamo costretti ad indirizzarli alle agenzie competenti. Anche se la guerra finisse oggi la Siria per essere ricostruita o per avere una parvenza di stabilità saranno necessari parecchi anni prima di poter vedere il rientro a casa di tutti i esuli. Queste sono tematiche che hanno bisogno di molta attenzione perché provocano problemi a tutti i livelli sociali, economici e di sicurezza».

È facile constatare l’efficienza e l’organizzazione del sistema Unifil, ma soprattutto del nostro contingente, andando a visitare direttamente la Base di Shama’, poco distante da Naqoura  dove ha sede il Sector West HQ Joint Task Force di Unifil, la cui guida è affidata, oggi, alla Brigata di Cavalleria “Pozzuolo del Friuli” con sede  a Gorizia impegnata nell’operazione Leonte 14 (si tratta dell’ultimo mandato per la Brigata, perché secondo quanto stabilito dalla nuova riorganizzazione dell’esercito, la Pozzuolo del Friuli verrà sciolta e i reparti di alta specializzazione andranno a confluire in altre brigate). Al Sector West  fanno capo, oltre ai soldati italiani, anche i reparti provenienti da Brunei, Finlandia, Ghana, Malesia, Repubblica di Corea, Slovenia e Tanzania. Al comando vi è il Generale Vasco Angelotti. 

Angelotti sottolinea che nel contingente italiano vi è una marcia in più derivante dalla preparazione ad hoc che viene impartita ai nostri prima della partenza. «Bisogna tener conto di quelle che sono le radici culturali e la storia del paese in cui si va ad operare. Il Libano è un paese che si affaccia sul Mediterraneo con il quale abbiamo certamente radici comuni. Il nostro personale opera con attenzione dimostrandosi deciso all’occorrenza, ma soprattutto vicino e attento alle esigenze della popolazione».

Ad un mese dalla mia ultima visita in Libano, è importante documentare che la sicurezza può essere determinata anche solo dalla presenza di blindati bianchi; si tratta di una sicurezza che non riguarda solo il Libano, ma è estesa a tutta l’area del Mediterraneo, cui noi apparteniamo. Organizzazione interna, scorte (attualmente affidate al Reggimento dei Lagunari) mi hanno regalato uno spaccato libanese differente, ed  importante, rispetto ai miei precedenti viaggi e incontri. Per tutti, la massima aspirazione è creare tutti i presupposti per una situazione di stabilità capace di assicurare la pace. 

Il Libano ha davvero ancora molto da raccontare e una attenta osservazione ha mostrato che si può essere presenti senza essere invasivi e pare che noi italiani all’estero sappiamo davvero dare e portare il meglio di noi.