L’equazione tuareg nel conflitto maliano

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MALI – Bamako. La presenza di una forza internazionale e uno sviluppo economico sono gli unici strumenti per sfruttare le richieste sociali ed economiche portate avanti dai Tuareg allo scopo di contrastare Al-Qaeda e le sue tattiche di reclutamento in Mali.

La natura delle ribellioni Tuareg in Mali, sia passate che presenti, è una questione di identità etnica, autonomia regionale, è una questione di  governo e di lotta all’emarginazione di questa minoranza. 

La presenza di adeguati programmi finanziari e di sviluppo nei territori settentrionali del Mali potrebbe rivealrsi un modo efficace per scoraggiare i gruppi vulnerabili, perché privi di tutte le risorse, ad aderire ad al Qaeda e potrebbero fornire una soluzione che garantisca la sicurezza a lungo termine sia per il Mali che per il Sahel.

Il conflitto in Mali potrebbe essere decisivo nel determinare se la diffusione dell’estremismo islamico in tutta l’Africa sia oramai metastatizzata. La cattiva gestione del conflitto maliano potrebbe spingere i gruppi islamici radicali a creare nuove cellule nella zona sub-sahariana. I confini estremamente porosi del Mali potrebbero renderne praticamente impossibile il contenimento e la presenza di una vasta zona desertica a nord richiederà un numero sempre più alto di militari​per stabilizzare la situazione e creare le basi per adeguati sforzi umanitari volti a risolvere i conflitti.

La complessa ripartizione socio-etnica del Mali complica ulteriormente il conflitto. Bamako si trova ad affrontare i movimenti nazionalisti Tuareg con gli stessi metodi e filosofia di quella usata con i gruppi estremisti violenti. Ogni possibile soluzione implica delle risposte utili per la  eterogenea società maliana e per le sue esigenze, indipendentemente dalla percezione occidentale del paese.

Pertanto, mentre è stata data grande attenzione ad Al-Qaeda ed ai suoi movimenti affiliati come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqim) e al loro ruolo nel conflitto in Mali, non sono ben comprese le questioni antropologiche e sociologiche più profonde che devono essere ancora esplorate. Una ricerca ed una analisi fatta attraverso nostre fonti primarie e fonti Osnt, ci ha portato ad una serie di riflessioni:

1. C’è una notevole confusione mediatica in merito alle questioni semplici, su tutte la definizione dei principali gruppi etnici del Mali. Rapporti, resoconti e reportage spesso confondono le denominazioni francesi e inglesi delle etnie ingenerando una confusione notevfole: i Tuareg sono un popolo di Mali, Tamasheqs è la lingua parlata da alcuni gruppi tuareg, non una diversa etnia.

2. C’è una tendenza a confondere la ribellione Tuareg contro Bamako con l’appoggio che alcuni gruppi Tuareg forniscono all’insurrezione islamista. Anche se alcuni Tuareg supportano Aqim o similia, continua a esistere una ribellione contro Bamako che continua ad essere non monolitica.

3. La potenziale crisi umanitaria nel nord del Mali è stata trascurata. I Tuareg sono già stati gli obiettivi della violenza etnica e sono stati accusati di creare instabilità del paese. Militari del Mali, milizie locali, e semplici cittadini sono già stati accusati di violenze contro i tuareg sia a Bamako che in altre località tradizionalmente tolleranti ed etnicamente miste. Preoccupante, ancora una volta, è il travisamento della ribellione Tuareg nei media occidentali che la confondono con al Qaeda. La prevalenza etnica Mande nel governo di Bamako ha il potenziale per scatenare un genocidio contro i tuareg, sponsorizzato dallo stato. Il confondere le due ribellioni porterebbe a far sì che, condotta sotto il pretesto della lotta al terrorismo, il genocidio possa passare “inosservato” dall’Occidente, o addirittura, potrebbe essere tacitamente sostenuto. La resistenza di tuareg e arabi potrebbe comportare la morte del 5 o dell’8% della popolazione del Mali.

4. La ribellione di gruppi legasti ad al Qaeda è solo un nuovo elemento all’interno del conflitto nel nord del Mali, la ribellione Tuareg cui si assiste oggi è solo l’ultimo atto di una serie di eventi che si susseguono dal 1962 e possiede una radice intrinsecamente etnica. Solo “costringendo” il governo maliano a rispettare le proprie promesse per i Tuareg, potrebbero cessare le ostilità.

5. L’intervento in Mali deve concentrarsi su questioni antropologiche quali l’identità etnica, la proprietà della terra, e i mezzi di sussistenza tradizionali contro quelli “moderni”. Si tratta in sostanza di una lotta tra agricoltori stanziali e pastori nomadi, con i primi che recintano le terre e i secondi che vengono provati dei pascoli e dei loro mezzi di sussistenza. Nessun conflitto potrà essere risoltio senza affrontare questa questione chiave.

6. Il salafismo radicale non si confa con i sufi maliani, che spesso hanno incorporato pratiche religiose pagane e animiste per formare una versione culturalmente ibrida dell’Islam. Affrontando le questioni socio-economiche, si potrà far svanire la possibilità che il Nord del Paese aderisca  ad una visione radicale dell’Islam. Il governo di Bamako dovrebbe investire nel Nord per favorire nelle popolazioni lo sviluppo di programmi islamici di welfare.

7. L’intervento francese non avrà alcun impatto significativo sulla sicurezza a lungo termine del Mali, senza un approccio più completo volto a risolvere i problemi essenziali del Paese e a sostenere il Mali. dopo la fa fase di estirpazione. è necessaria una presenza costante e stabile, capace di interdire il movimento radicale nelle aree di confine, per garantire la sicurezza nelle operazioni di soccorso. Resta sempre il fatto che si tratterà di un utile contributo, perché la sicurezza starà principalmente nelle mani e nei fucili degli stessi tuareg.

8. È molto probabile che Al Qaeda possa rimanere nel nord del Mali e che continui a svolgere i piccoli attacchi, al di là dei legami transazionali. Un elemento chiave per misurarne la capacità di essere presente nel nord Mali sarà data dalle città che attacca: se non farà altro che rivendicare Tessalit, come in passato, al Qaeda avrà diminuiti i suoi attacchi; se al contrario, periodicamente, tenterà di riprendere Kidal o Gao, costituirà una minaccia molto più significativa.

9. L’esercito del Mali non è una forza affidabile e la sua consistenza non deve essere utilizzata nei calcoli delle truppe che dovranno essere presenti al termine del conflitto. Ai militari manca la formazione, il numero e le risorse per gestire qualsiasi tipo di stabilizzazione nel lungo termine. L’esercito del Mali è solo un necessario sostegno esterno utile a contrastare efficacemente gli attacchi islamisti. Anche se le truppe di Ciad, Niger, Nigera, Togo e altri Paesi sono presenti in Mali, molte non hanno formazione adeguata nonché attrezzature ed esperienza. La fornitura di supporto logistico sarà comunque richiesta all’Occidente.

Il successo in Mali è in definitiva fondato sulla comprensione dei vari fattori etnici e tribali alla base di parte del conflitto, e sulla capacità di sfruttarne tale conoscenza. Più che di una vittoria armata, occorre instaurare una operazione di controinsorgenza capace di strappare cuori e menti dei tuareg da al Qaeda. La posta in gioco saranno le future incursioni di al Qaeda nel Sahel.