L’Egitto sull’orlo del baratro economico

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EGITTO – Il Cairo. Morsi ha messo i suoi obiettivi politici davanti alle esigenze economiche del paese e ora, l’Egitto affronta una pesante crisi economica.

Ci sono voluti solo il 20% degli elettori per approvare la nuova costituzione. L’ottanta per cento degli elettori l’ha respinta o non l’ha – per qualsiasi motivo – votata.

L’ossessione di Morsi per la Costituzione lo ha posto al centro di un campo minato. Sei mesi di violenza in vista della Costituzione hanno portato a trascurare l’economia che è prossima a fermarsi. Il deficit di bilancio è aumentato del 38%, o 13,1 miliardi dollari in sei mesi, la sterlina egiziana è scivolata del 6% rispetto al dollaro Usa, il tasso di disoccupazione è passato dal 8,9% al 12,4% e la crescita del Pil è scesa dallo 5,0 allo 0,5%.

Aggiunto a ciò, sta il dimezzamento delle riserve in valuta estera con la fuga di capitali e il trasferimento dei risparmi all’estero. Il deflusso ha portato all’istituzione di controlli valutari alla fine di dicembre, quando le riserve erano scese a 15 miliardi di dollari, sufficienti a finanziare solo tre mesi di importazioni. L’Egitto gestisce un deficit commerciale del 50% che ha usato per compensare le entrate derivanti dal turismo e le rimesse dei lavoratori all’estero, ma i turisti sono stati lontani dalle spiagge egiziane e le condizioni economiche in tutto il mondo hanno reso più difficile per i lavoratori egiziani trovare un impiego.

A causa della instabilità politica e la situazione in peggioramento finanziario, Standard & Poor ha declassato il credito egiziano a B-meno. Prima del downgrade, l’Egitto ha pagato il 13,54% per un anno i titoli del Tesoro. Dopo il downgrade, la vendita di titoli è stata annullata per evitare tassi di interesse più elevati. Nella classifica dello swop creditizio, l’Egitto è tra i dieci peggiori, insieme alla Grecia e il Pakistan.

Consumando metà delle sue riserve per cercare di salvare una moneta in caduta libera, la Banca Centrale egiziana non ha altra scelta che staccare la spina, a meno che Morsi non possa trovare un prestito ponte dal Qatar o da qualche altra fonte. L’aumento dei prezzi delle importazioni certo aumenterà il tasso di inflazione al di sopra del livello attuale del 4,1%. L’impatto potrebbe essere compensato da un aumento delle sovvenzioni, che aumenterebbe il deficit di bilancio oltre l’attuale 10%. Oggi, le sovvenzioni costituiscono il 30% del bilancio, ed è quello, invece, che il Fondo monetario internazionale (Fmi) si aspetta il governo riduca, al fine di qualificarsi per il prestito di 4,8 miliardi di dollari. le condizioni per il prestito erano state definite dopo un anno di negoziati solo per essere annullate dal governo Morsi, che temeva aumento delle tasse e per evitare che la riduzione delle sovvenzioni provocasse altri disordini prima del voto sul referendum. Il prestito Fmi è fondamentale per ricevere quello di 10 miliardi di dollari dall’Unione europea, dalla Banca africana di sviluppo e da altre fonti. Senza di esso, l’Egitto resterà “congelato” nei mercati finanziari internazionali.

Poiché la maggior parte del debito pubblico egiziano è dovuto alle banche nazionali, queste banche oggi rischiano l’insolvenza. La Banca Nazionale d’Egitto, la Banque Misr Sae e Banca del Commercio Internazionale sono state ridimensionate proprio in previsione di un default del governo.

L’Egitto soffre di una carenza di capitali di investimento a causa della mancanza del risparmio. Solo se vi è un afflusso di investimenti diretti esteri nel Paese si può pensare di averecapitale disponibile per l’espansione economica. Questo dato, tuttavia, è stato nascosto dai disordini e dallo sforzo politico per invertire la vendita di imprese statali effettuate durante il regime di Mubarak.

A partire dal 2004, il governo di Mubarak aveva intrapreso un programma economico di riforme e privatizzazioni. Nel corso dei prossimi quattro anni, industrie statali sono state vendute ad acquirenti stranieri e nazionali per 9,4 miliardi di dollari. Il tasso di crescita del Pil è passato dal 4,1% al 7,2%. Le riserve in valuta sono state ampliate da 16 miliardi di dollari a 34 miliardi. Anche durante la crisi economica mondiale del 2010, l’economia ha continuato a espandersi fino al 5%, ma tutto questo ha ricevuto una brusca interruzione con la rivolta di piazza Tahrir.

Ora, alcune delle vendite vengono addirittura annullate. Gli investitori stranieri percepiscono il futuro come un rischio che è meglio evitare. Gli investimenti esteri diretti sono solo il 16% di quello che erano nel 2007, e molti di questi sono nel settore petrolifero.

Una brutta situazione davvero, aggravata dalla diffusione del malcontento tra i lavoratori che chiedono il diritto di sindacalizzazione e di sciopero. La loro richiesta di “pane, libertà e giustizia” è stato per loro il senso ultimo della rivoluzione. Invece, il governo Morsi, oggi, sta interrompendo gli scioperi con la polizia e imprigiona gli attivisti sindacali proprio come il governo di Mubarak aveva fatto prima. I lavoratori si lamentano del fatto che l’amministrazione Morsi sia peggio di quella che è stata rovesciata.

La maggior parte delle imprese sono di piccole dimensioni che, di fatto, creano la gran parte dell’occupazione egiziana.

I titolari delle società si lamentano che il nuovo governo non sta facendo nulla per ridurre norme soffocanti e burocrazia corrotta.

Qualunque sia l’ideologia esposta al grande pubblico e ai media nazionali e internazionali, la Fratellanza Musulmana è composta principalmente da professionisti. Come nell’era Mubarak, il governo è diventato uno strumento per proteggere i loro interessi.

Già a novembre 2012, Morsi ha bloccato la Corte costituzionale per salvare il suo concetto di democrazia. Oggi sembra bloccare i sindacati per salvare una visione dell’economia non aderente alla realtà. Il governo della Fratellanza dovrebbe comprendere che solo il 20% degli elettori lo ha sostenuto nei suoi sforzi costituzionali e ancora non si è reso conto che gli è stato dato un chiaro segnale: non tutto il popolo egiziano gradisce una politica slegate dalle esigenze contemporanee.