Retrograde tricolore

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AFGHANISTAN – Herat – Base “Camp Arena” 07/01/2014. Spesso le notizie che giungono dall’Afghanistan raccontano della guerra, ma qui il paese, la popolazione conduce una vita normale ed è possibile raccontarla anche attraverso la voce di chi da dieci anni vive insieme a loro.

È vero portano l’uniforme, ma sono parte integrante del sistema. Siamo nella Regione Ovest dell’Afghanistan sede del Comando italiano della missione Isaf. Il Comandante generale Michele Pellegrino (nella foto) ci accoglie presso il
comando della Brigata Aosta ad Herat che da settembre 2013 ha ereditato le redini di una zona particolarmente delicata da gestire. Dopo dieci anni di permanenza del nostro contingente questo paese è diventato anche un po’ nostro dal punto di vista emozionale, gli abitanti si sono abituati alle nostre divise, alla nostra presenza che garantisce sicurezza e legittimità. Ci domandiamo se la popolazione percepisca i nostri militari come forza di invasione, il Generale non ha alcuna perplessità parlandoci degli ottimi rapporti stabiliti con la gente, specificando poi che l’attuale fase in atto è quella della transizione, un processo di riduzione della presenza italiana, almeno quella in uniforme, cosa che ha portato in questi ultimi mesi alla chiusura di due basi, che erano sotto il comando italiano quella di Farah e Bala Boluk. Questa cessione alle forze afghane del 207° Corpo d’armata è un processo naturale del “retrograde”, termine con il quale si indica il lento e progressivo riconoscere alla forze di sicurezza locali la capacità di operare in totale autonomia.  Le forze internazionali, e quindi quelle italiane, da un’azione di primo piano che hanno avuto in questi anni stanno ora assumendo sempre più un ruolo marginale solo di sostegno e di assistenza in base alle richieste e alle necessità riscontrate. «Attualmente le forze nazionali sono concentrate su Herat, dove c’è il Command West, e sulla base di Shindand dove abbiamo un reggimento di paracadutisti il 183° reggimento Nembo, la cui chiusura è prevista per i primi mesi del 2014».

Il pericolo però che questa forte riduzione della presenza militare internazionale, che sino ad oggi è servita sia come deterrenza ma anche come effettivo controllo del territorio, possa dare nuovo vigore agli insurgent, che nel frattempo in Pakistan continuano a formare nuovi militanti, è reale. In merito a questo il Comandante Pellegrino ha detto che per fortuna gli insurgent non sono in grado di condurre operazioni convenzionali classiche, non sono in grado quindi di affrontare in campo aperto le forze di sicurezza afghane. Purtroppo sono capaci di creare attacchi spettacolari che hanno forte rilevanza mediatica. «All’inizio del nostro mandato, pochi mesi fa, c’è stato l’attacco al Consolato Americano di Herat, ma non sono stati in grado di  portare a termine il loro obiettivo, l’edificio ha solo subito lievi danni alle strutture esterne».

È evidente il grande cambiamento avvenuto nel paese e il generale ce lo conferma anche parlando delle istituzioni: «C’è stato un grande miglioramento, un grande sviluppo di quelle che sono le capacità governative afghane. Partendo dal 2001 ad oggi ci sono stati grandi progressi che hanno interessato non solo aspetti sociali, delle condizioni di vita, dal livello di alfabetizzazione alla crescita culturale dei ragazzi, ma anche all’interno delle istituzioni stesse. In tutte le provincie i governatori sono in stretto contatto con il governo centrale di Kabul».  Questa rete istituzionale concede al paese un po’ più di stabilità e si auspica che le prossime elezioni possano dare una spinta rilevante alla democratizzazione del paese, il generale ci fornisce un dato importante sull’argomento, i candidati a differenza del 2010, provengono da varie correnti politiche, l’organizzazione e la verifica dei seggi, degli aventi diritto al voto e delle misure di sicurezza che verranno messe in atto sono molto avanzate e denotano la volontà di crescita del paese. «Sono ottimista” dice Pellegrino «i progressi ci sono, certo non sono paragonabili ai nostri paesi, sono commisurati alla realtà in cui ci troviamo, non possiamo dimenticare che ci troviamo in un territorio che ha dovuto affrontare 30 anni di guerre. È necessario essere pazienti e ottimisti».

Lentamente si sta seguendo la linea del retrograde che ci spiega «non è un mero movimento logistico di convogli, ma una operazione che si interfaccia al completamento del controllo del territorio da parte degli afghani. Il fatto che questo movimento possa avvenire significa che le forze di sicurezza locali sono in grado di procedere anche da soli. Il retrograde  è un processo che riguarda tutti i paesi che fanno parte della coalizione, della missione Nato. Non è una attività squisitamente nazionale, ma è condivisa e coordinata con gli  altri paesi e prevede, in tutti vari  comandi regionali, un progressivo ripiegamento, una riarticolazione del dispositivo. La nostra presenza rimane ma sarà più contenuta. Si passerà da una funzione attiva ad una funzione di mentorizzazione degli afghani in alcuni settori in cui sono un po’ carenti. Non più insomma quelli di combattimento che sono in grado di fare in autonomia, ma per esempio nella logistica, nel mantenimento mezzi, materiali, procedure di comando e controllo». 

In ambito nazionale si specula sulla possibilità che le armi italiane, per evitare i costi eccessivi di rientro, possano essere distrutte in loco o messe a disposizione. Il generale Pellegrino smentisce questa notizia affermando che nelle basi cedute agli afghani sono stati lasciati solo materiali logistici come strutture abitative o per ufficio, apparati per riscaldamento, gruppi elettrogeni per il funzionamento della base. «Le armi non verranno assolutamente cedute né tanto meno distrutte. Tutte le armi italiane verranno ripiegate con le modalità che sono previste e rientreranno in patria».