Carceri più buie di quelle del SudAfrica

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ITALIA – Roma 10/01/2014. Non si sente parlare spesso del problema dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.

Di questa controversa tematica si occupa l’associazione “AssoPacePalestina”. Luisa Morgantini, deputato italiano e membro dell’associazione, ricorda che secondo l’art. 66 della Quarta Convenzione di Ginevra i tribunali militari di tutti i paesi dovrebbero occuparsi di casi che riguardano solo la violazione della legislazione in materia di sicurezza. Tuttavia la legge marziale israeliana si interessa di molti aspetti della vita “civile” palestinese, al punto di considerare reato anche lo sventolare una bandiera palestinese. Questo dato legittima l’intervento dei militari sia al momento dell’arresto, sia in sede giurisprudenziale; ciò significa che i due tribunali di Salem e Ofer, in cui  vengono processati i palestinesi, sono dei tribunali militari a tutti gli effetti, la cui competenza è di fatto in contrasto con il diritto internazionale secondo cui i processi dovrebbero avvenire in luoghi indipendenti e imparziali. Ad esempio, un palestinese in stato di accusa può rimanere  in stato di detenzione fino a novanta giorni senza poter incontrare un avvocato, mentre un israeliano 24 ore al massimo. Inoltre, il processo viene condotto in lingua ebraica, violando un ulteriore diritto dell’imputato, ossia quello di aver diritto ad un interprete. Secondo, poi, l’associazione Addameer, dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967 sono stati arrestati da Israele oltre 800 mila palestinesi tra uomini (il 40% della popolazione maschile), donne (15 mila dal 1967) e bambini (circa 700 ogni anno; più di ottomila dall’anno 2000). Le associazioni che si occupano della questione, raccontano storie di maltrattamenti e abusi sui prigionieri fin dal momento dell’arresto, durante il quale vengono usati cani e bombe sonore. I militari di norma non presentano ordini di arresto e molti dei prigionieri dichiarano di essere stati picchiati e minacciati, vedendo le loro proprietà perquisite nonché requisite. Una volta giunti nel centro di detenzione, i prigionieri vengo rinchiusi in una cella di isolamento o portati direttamente all’interrogatorio. I maltrattamenti assumono varie forme fra: metodi di routine ( deprivazione del sonno, utilizzo di manette strette tanto da bloccare la circolazione sanguigna, percosse di ogni tipo); metodi che implicano tecniche militari quando si ritenga che sussistano condizioni di rischio per la sicurezza (dolore autoinflitto, pressione su parti del corpo, waterbording e così via). Tutte le celle soffrono di mancanza di luce naturale e di forte umidità.  Secondo il Comitato contro la tortura in Israele (Pcati) che, in un’indagine del 2007 basata sulle testimonianze dettagliate di nove palestinesi torturati tra il 2004 e il 2006, anche i medici sono parte integrante del sistema di tortura negli interrogatori. L’associazione dei medici israeliani (Ima) ha ammesso di aver saputo di questa relazione ma non è stato fatto nulla per rimediarvi, tanto che nel 2008 la Coalizione Uat, che comprendente 14 associazioni per i diritti umani sia palestinesi sia israeliane, nel suo rapporto annuale al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura concludeva che la pratica della tortura e di trattamenti disumani e degradanti in Israele continua ad essere ampiamente diffusa e sistematica, denunciando tale pratica come politica di stato. 

Ci sono, poi, due prigioni femminili in Israele, a Neve Terza e Ramleh in cui le detenute sono nelle stesse condizioni detentive degli uomini. Carceri sovraffollate, celle prive di illuminazione naturale, piene di insetti e sporcizia, difficoltà ad incontrare i propri avvocati o a ricevere visite familiari. Per una donna palestinese essere incinta al momento dell’arresto è una vera condanna in quanto non le vengono riservati trattamenti speciali e nessuna prigione dispone delle infrastrutture necessarie al parto. Quando una detenuta è portata negli ospedali per partorire si muove sotto scorta e in catene, costretta a rimanere incatenata al letto prima e dopo il parto. Tutto ciò accade in spregio dell’art. 12 della Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, ratificata da Israele il 3 Ottobre 1981, che recita: «Gli Stati membri devono vigilare affinché siano assicurati servizi appropriati alle donne in gravidanza, durante il parto e nel post-parto, che dovranno essere gratuiti ove occorra, così un’adeguata nutrizione durante la gravidanza e l’allattamento». Ai minori viene riservato lo stesso trattamento degli adulti, dall’interrogatorio alla detenzione. Recentemente Richard Falk, relatore speciale dell’Onu, ha percepito la contraddittoria natura della situazione vissuta dai prigionieri palestinesi: «Abbiamo bisogno di una più ampia prospettiva etica, giuridica politica per riuscire a cogliere adeguatamente la realtà dei prigionieri palestinesi». Nelson Mandela stesso, visitando le carceri di Israele, disse che trovò in quei luoghi più apartheid che in Sud Africa.