Le difficoltà di ISIS in Africa

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ITALIA – Roma 10/03/2015. Diversi fatti nel corso del fine settimana scorso (7 e 8 marzo) s’iscrivono pienamente nella strategia mediatica dei movimenti islamici fondamentalisti in Medio Oriente e in Africa, ma ne permettono anche la reale comprensione.

Permettono ovvero di capire quale sia la realtà dei fatti sul campo se si analizzano i fatti unendo i vari punti dello scenario nigeriano, maliano e libico. In effetti, nel corso del mese di febbraio e all’inizio di questo mese di marzo la strategia mediatica jihadista ha portato all’inizio di una vasta campagna offensiva mediatica per cercare di coprire quanto avviene in realtà.
Qualora non fosse analizzata attentamente, la campagna di disinformazione dei jihadisti porterebbe ad una triplice, drammatica, conclusione: lo Stato Islamico è ormai padrone in Libia, Boko Haram è andato a rafforzare le fila del Califfato giurandogli fedeltà l’8 marzo e un nuovo gruppo in Mali compie attentati contro gli occidentali. Se lo scacchiere libico rimane caratterizzato dal caos che richiederà ancora tempo per poterne analizzarne tutto lo spettro, i due ultimi eventi, al contrario, sembrerebbero dimostrare la debolezza di due gruppi che vedono ormai ridotta la loro capacità operativa.
In effetti, con il giuramento di fedeltà di domenica, Boko Haram sembrerebbe aver rafforzato la propria posizione e quella dello Stato Islamico, ma proprio attraverso l’annuncio di domenica ha dimostrato invece di aver bisogno di aiuto in Nigeria.
Se fino alla fine di gennaio 2015, il movimento nigeriano era padrone del nord est del paese, febbraio è stato disastroso per il movimento islamico.
Se a gennaio Boko Haram mandava uomini in Libia per aiutare ufficiosamente l’auto proclamato Stato Islamico, a febbraio doveva subire l’apertura del primo fronte da parte dei soldati ciadiani e camerunensi alla frontiera tra Nigeria e Camerun. In poco tempo, i soldati dei due paesi hanno ripreso dalle mani dei jihadisti la città frontaliera di Fotokol in Camerun e poi Gambaru, dall’altra parte del fiume El Beid Ebeji, in Nigeria.
Mentre l’esercito ciadiano continuava la sua avanzata verso Maiduguri (la capitale dello Stato di Borno dove Boko Haram è maggiormente presente) riprendendo anche Dikwa e altre città, i soldati nigeriani avanzavano da sud. L’esercito ciadiano ha poi aperto un altro fronte, questa volta lungo le coste del lago Ciad dal Niger e dal Camerun avanzando verso la tristemente famosa città di Baga. Il 9 marzo è stato aperto il terzo fronte: dal Niger è partito un contingente misto di soldati nigerini e ciadiani. Ormai non si tratta più di forze ciadiane all’attacco, ma di una forza interregionale formata da uomini del Niger, del Camerun, del Benin, della Nigeria e ovviamente del Ciad, unico paese dell’Africa centrale e occidentale con una capacità operativa tale da poter dispiegare duemila uomini in Mali e poco meno di 3mila in Nigeria contemporaneamente, in modo efficace.
Il leader di BoNiger ko Haram ha sì annunciato la propria fedeltà allo Stato islamico, ma pochi giorni prima il presidente ciadiano Déby aveva dichiarato di sapere dove si trovava proprio Shekau, ovvero nei pressi della cittadina di Dikwa (in Nigeria) appena riconquistata dai ciadiani. Boko Haram si troverebbe quindi sulla difensiva e finora non avrebbe ricevuto aiuti dallo Stato islamico, anzi, i propri combattenti partiti per la Libia non sarebbero in grado di tornare in Nigeria.
A venire in aiuto a Boko Haram, almeno da un punto di vista mediatico, è un gruppo jihadista maliano: Al Mourabitoune (o Almoravidi, nome di una vecchia dinastia berbera che ha regnato su una parte dell’Africa sub sahariana e la Spagna tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo). Il Gruppo nasce dalla fusione tra il Movimento per l’Unicità e la Jihad in Africa Occidentale – Mujao e il gruppo di Moktar Belmoktar (detto il Guercio o Mister Malboro), Al-Mouaguiine Biddam (o Firmatari con il sangue). Paradossalmente, il Mujao era una costola staccatasi dalla katiba (o brigata) di Belmoktar in Mali. In effetti, Belmoktar era comandante di Al Qaeda per il Magreb Islamico fino al suo “licenziamento” alla fine del 2012 e decise di fondare la propria katiba (Al-Mouaguiine Biddam), mentre alcuni dei suoi uomini si staccarono dal gruppo per fondare il Mujao, rimanere al fianco di Aqmi e sviluppare i propri contatti, in particolare con Boko Haram.
Alla fine del 2013, il capo di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, aveva prospettato una nuova fusione tra i due gruppi. Tale fusione è avvenuta proprio alla fine del 2013 con la creazione di Al Mourabitoune. Tale gruppo rappresenta nello scacchiere del Mali il movimento jihadista più importante, mentre Aqmi e un altro gruppo minoritario, Ansar Dine, avrebbero perso molti uomini e molto terreno. Gli attacchi del 8 marzo al ristorante “La Terrasse” di Bamako e alla missione Minusma a Kidal da parte degli uomini di Moktar Belmoktar sono serviti a richiamare l’attenzione sul Mali dove la situazione è tutt’altro che pacificata al nord, nonostante i recenti accordi di Algeri siglati tra il governo maliano e molti gruppi dell’Azawad.
Nel corso degli ultimi due mesi però, gli attacchi da parte di Boko Haram (e in parte dei Mourabitoune) dimostrano quanto sia ormai difficile per loro mantenere, e governare, il territorio. Certo, gli attentati hanno sempre il loro effetto mediatico, in particolare se si pensa che, vigliaccamente, gli uomini di Abubakar Shekau sono arrivati ad utilizzare donne e bambine per gli attentati dinamitardi. Questo starebbe a dimostrare l’indebolimento di tali gruppi in Nigeria e in Mali.
Da un punto di vista strategico, la situazione in Nigeria e in Mali fa pensare a quanto avviene da ormai due anni in Somalia. In effetti, gli Shebab somali hanno perso gran parte del territorio che controllavano nel 2010 (anno della loro maggiore espansione) e nel corso dell’ultimo anno hanno visto la loro capacità operativa ridursi per mancanza di risorse e risolversi a sparuti attacchi contro le autorità. Questo risultato da parte del governo federale somalo è stato possibile grazie ad un supporto dell’Unione Africana e ad un dialogo politico concreto, almeno inizialmente (adesso il Presidente Sheikh Mohamed sembrerebbe di nuovo nell’impasse politica a causa della frammentazione etnica del paese). In Mali l’intervento francese ha ridotto le capacità operative dei jihadisti e si sta mediando per la risoluzione del problema del nord del paese, senza la quale sarà impossibile pensare ad una pacificazione reale e ad una soluzione politica del problema. In Nigeria, le armi devono ancora tacere, poi la politica (e le elezioni?) troveranno modo di intervenire. Prima però bisogna eradicare il problema di Boko Haram.
Dal punto di vista militare bisogna riflettere su una considerazione: il Ciad sta avendo da alcuni anni il ruolo di gendarme dell’Africa, dall’intervento in Repubblica centrafricana (AGC: Il nuovo interventismo ciadiano) all’attuale Nigeria passando per il Mali. Da solo il Paese non potrà sobbarcarsi ulteriori perdite e ulteriori fronti (il Ciad confina al nord con la Libia). Nel caso dell’attacco in Nigeria, le forze armate ciadiane hanno confermato quanto dimostrato in Mali al fianco dei francesi. Il Niger e il Camerun hanno dimostrato, nonostante siano un gradino sotto ai soldati di N’Djamena, ottime capacità operative, in particolare in termini di forze speciali o di intervento rapido (come le Brigades rapides d’intervention – Bri camerunensi o le forze speciali del Niger). Questi tre paesi sono riusciti ad integrarsi all’interno di un dispositivo al quale si sono aggiunte anche le forze del Benin, dimostrando peraltro un’ottima integrazione tra forze di terra e forze aeree. Al contrario le forze nigeriane sono sembrate allo sbaraglio, sia in termini operativi che di comunicazioni. Bisognerebbe quindi fare riferimento alle raccomandazioni fatte da Déby al Forum Africano sulla sicurezza di metà dicembre 2014 (AGC: Niger e Camerun nel mirino di Boko Haram), ovvero la necessità per gli Stati africani di riformare il proprio modo di pensare delle proprie forze armate.
Sta di fatto che, in conclusione, nonostante sul campo sia Boko Haram che al Mourabitoune, e in parte anche lo Stato islamico, stiano perdendo terreno e presa sulle popolazioni, da un punto di vista mediatico l’offensiva è stata lanciata. Decrittarla e contrattaccare diventa quanto più fondamentale per eradicare questi movimenti.