IRAQ. I mattoni delle donne

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La guerra a volte costringe le società ad emanciparsi, o semplicemente dà vita a nuovi meccanismi per la sopravvivenza.

Durante la Seconda guerra mondiale, mentre gli uomini facevano la guerra e morivano come mosche colpite da insetticida sulle coste francesi, le donne americane, ma anche quelle europee, lavoravano nelle fabbriche, anche quelle delle armi come operaie, cosa impensata e inaudita fino a prima della guerra.

Succedeva perché la manodopera maschile mancava e le donne spesso a casa avevano bocche da sfamare e quindi in barba alle convenzioni con il rischio di essere vessate, stuprate, abusate, andavano a lavorare. Naturalmente tra loro e le “brave donne” della borghesia media si creò un divario sociale, e spesso quelle lavoratrici venivano etichettate come poco di buono. Di fatto, però, è da quelle fabbriche che è arrivata, anche, la lotta sindacale per i diritti del mondo femminile soprattutto nel Dopoguerra.

Ora un’altra guerra in un altro posto ha portato le donne in fabbrica, in quelle fabbriche prima occupate dagli uomini, una cosa mai vista prima, soprattutto in un paese musulmano dove il lavoro femminile è una cosa moderna e solitamente di settore, dedicato al mondo femminile. Le donne lavorano per le donne e comunque in reparti solo femminili. E soprattuto solo prima del matrimonio. Spesso lavorano in casa. Inoltre parliamo di un lavoro dannoso per la salute, perché i siti sono altamente inquinanti.

Stiamo parlando delle donne di Baghdad che potete trovare non tra gli edifici e i centri commerciali, a sud del centro della capitale, ma tra le colonne di fumo che si alzano dalle tradizionali fabbriche di mattoni nella regione di Nahrawan, a sud-est della capitale.

Questi laboratori in qualsiasi altra parte del mondo non sarebbero più utilizzati a causa del loro impatto sull’ambiente, disastroso per via del fumo che sale dalle ciminiere e le esalazioni di gas tossici e inquinanti e l’ossidazione: il loro impatto non è limitato all’ambiente, ma si estende agli esseri umani e a tutti i tipi di vita, comprese centinaia di donne che lavorano in queste fabbriche. Polveri, gas, esalazioni tutto fa male ai bronchi.

A lavorare in queste fabbriche ci vanno oramai solo le donne, dopo aver fatto dei corsi di formazione minima. Stiamo parlando di centinaia di donne irachene che nelle regioni centrali e meridionali dell’Iraq, sono le uniche ad essere impiegate, gli stessi datori di lavoro preferiscono l’occupazione femminile ai giovani uomini a causa dei bassi salari che elargiscono.

Si tratta di donne non scolarizzate di tutte le età dalle bambine fino alle donne anziane, delle catene umane impiegate per fabbricare mattoni, una catena che non conosce limiti: serve per produrre mattoni, grigliarli, poi trasportarli e metterli a forma di cubo per essere venduti nel mercato locale ai fini dei lavori di costruzione.

Ricordiamo che l’Iraq dopo Daesh è da ricostruire in molte città del nord Iraq. La crisi abitativa ammonta circa a 650.000 abitazioni, un settore dunque quello della produzione di mattoni che tenderà a impiegare sempre più donne sottopagate e prive di tutele sindacali.

Lucia Giannini