IRAN. La crisi economica ha poco a che vedere con le sanzioni USA

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Il governo iraniano affronta importanti sfide economiche, sebbene i suoi problemi siano più profondi delle sanzioni statunitensi. Il riyal iraniano ha perso metà del suo valore rispetto al dollaro da quando il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato a maggio il ritiro Usa dall’accordo nucleare firmato nel 2015 e ha reintrodotto le sanzioni statunitensi.

Stando a quanto riporta Jisr Tv, tutto ciò ha portato a un aumento dei prezzi e al blocco della maggior parte degli investimenti stranieri che il presidente Hassan Rouhani sperava di attirare: il Fmi prevede che l’economia si ridurrà del 3,6% nel 2019. Ma le ragioni vere per cui l’economia iraniana sta soffrendo sarebbero precedenti alle sanzioni di Trump.

Il sistema bancario iraniano è il più grande problema, in quanto le banche hanno emesso enormi prestiti durante la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad senza prestare molta attenzione sul fatto che questi prestiti potessero essere rimborsati.

Il comitato economico del Consiglio della Shura iraniana ha dichiarato a marzo che la liquidità di metà di quei prestiti, pari a 27 miliardi di dollari, si stava esaurendo. Le banche con grave carenza di fondi hanno cercato di attirare nuovi depositi a tassi di interesse del 30 percento o più.

Anche se questi depositi hanno contribuito a fornire liquidità, gli alti tassi di interesse imposti hanno aumentato l’instabilità delle banche. Recentemente, Rouhani ha affermato che la “malsana” situazione delle banche ha costretto le banche a indebitarsi continuamente con la banca centrale per non fallire, mentre il debito dei creditori privati è raddoppiato durante l’anno fino a settembre.

Le banche soffrono anche dell’accumulo di proprietà immobiliari che non possono vendere, dopo che hanno pompato liquidità in progetti di costruzione quando il settore delle costruzioni viveva il suo boom, che ha perso slancio dal 2013; tanto che oggi ci sarebbero quasi due milioni di case vuote in Iran, perché la domanda è praticamente nulla. Il governo non intenderebbe far fallire le banche per paura di un contraccolpo sociopolitico simile a quello che c’è stato dopo il crollo delle false agenzie di credito che ha scatenato le proteste diffuse lo scorso anno.

A settembre, il governatore della banca centrale Abdel Nasser Hamati ha denunciato «la spaventosa crescita dell’offerta di moneta» nel paese. I dati della banca centrale mostrano che la quantità di denaro che scorre nell’economia iraniana è aumentata del 24% all’anno negli ultimi quattro anni. Dato che, però, l’economia iraniana offre poche opportunità di investimento redditizie e sicure, i cittadini hanno cercato di cambiare i loro risparmi in dollari. Le nuove sanzioni hanno esasperato la situazione. Ad aprile, il governo ha chiuso gli uffici di cambio e ha cercato di stabilizzare il riyal a 42.000 real per dollaro, scatenando il panico e spingendo la speculazione sul mercato nero. Fatti che hanno portato alla riapertura dei cambi e al licenziamento del governatore della banca centrale.

Questi danni all’economia hanno aumentato il costo delle importazioni, mentre le sanzioni hanno reso difficile portare le merci nel paese. Di conseguenza, i prezzi sono aumentati: i prezzi di cibo e bevande sono aumentati del 60% a novembre, secondo la banca centrale.

Graziella Giangiulio