Il nuovo interventismo ciadiano

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CIAD – N’Djamena. Nell’analizzare le criticità degli scenari africani, è emerso dalla fine del 2012 un interessante dato geopolitico di particolare rilievo. Tra i vari Paesi africani, un attore si è caricato sulle proprie spalle il ruolo di soggetto principale per tentare di risolvere alcuni dei conflitti in atto in Africa Occidentale e in Africa Centrale. In effetti, il Ciad ha avuto un ruolo preponderante su due scenari africani di grande importanza: lo scenario del Mali e lo scenario centrafricano.  Questa modifica dello scenario africano è stato messo in risalto sia in Francia che in altri Paesi occidentali, ma, come gran parte delle zone critiche dell’Africa, in Italia non è stato per nulla affrontato.

Il Ciad ha vissuto nel quinquennio 2005-2010 una crisi interna e internazionale. In particolare nel 2008, al momento della battaglia di N’Djamena, il trono del Presidente Idriss Déby ha vacillato e sembrava che le forze della ribellione dell’est del Paese potessero prendere il potere. Lo storico conflitto con il Sudan per le regioni orientali del Paese ha minato per quel periodo lo sviluppo di un Paese che nel 2003 è diventato esportatore di petrolio. La porosità delle frontiere con il Sudan e le problematiche etniche transfrontaliere con la Repubblica Centrafricana hanno portato ad una situazione di conflitto generalizzato all’interno del Paese che hanno reso necessario l’intervento di una missione internazionale. Così, la Missione delle Nazioni Unite in Repubblica Centrafricana e in Tchad – MINURCAT nel 2007 e soprattutto la EUFOR-Tchad/RCA a partire dal marzo del 2008 sono diventate fondamentali per la stabilizzazione del Paese. 

Gli accordi di pace e cooperazione tra N’Djamena e Khartoum sono stati firmati il 15 gennaio 2010 grazie alla mediazione libica del Rais Muammar Gheddafi. Il Ciad riesce quindi a girare pagina, sia perché non ha più i problemi nelle regioni orientali con il Sudan, sia perché il Sudan ha iniziato a portare la sua attenzione verso le proprie regioni meridionali. La guerra non tanto nascosta e silente tra Khartoum e quello che poi è diventato il nuovo Sud Sudan ha focalizzato l’attenzione del Presidente El Bechir.

Così facendo, il Ciad ha potuto concentrarsi sullo sviluppo delle proprie infrastrutture e soprattutto delle proprie forze armate. In effetti, dal 2010 ad oggi, il governo di N’Djamena ha fatto pulizia nelle fila del proprio esercito, non ultima la serie di dimissioni ai vertici della polizia di inizio marzo scorso, e ha iniziato ad usare i proventi del petrolio per sviluppare il proprio Paese e, in conseguenza, anche le proprie  forze armate. 

Grazie agli addestratori della EUFOR e, successivamente francesi, e al materiale venduto dalle industrie belliche francesi (in particolare in termini di blindati leggeri), le forze armate ciadiane hanno sviluppato una capacità di intervento in ambito desertico e semi desertico di non poco conto. Ciò ha reso lo strumento militare ciadiano tra i più interessanti dell’Africa centrale poiché, da una parte, conta circa 30mila unità con armamento moderno e dall’altra la sua posizione centrale nello scacchiere geopolitico africano ne permette l’intervento sia in Africa occidentale che nell’area più centrale. Così facendo, il presidente Déby ha acquisito un ruolo centrale in Africa e nelle relazioni tra la Francia e gli altri Paesi africani. N’Djamena e Parigi sono sugli stessi scenari e spesso Parigi fa affidamento al giudizio e alla capacità di intervento di N’Djamena.

Sulla scia di questo sviluppo delle relazioni internazionali del Ciad, il Presidente Déby ha iniziato una nuova politica di influenza sui Paesi vicini. Due sono gli scacchieri sui quali Déby ha sviluppato il suo nuovo interventismo : il Mali e la Repubblica Centrafricana.

In Mali, l’aiuto delle forze ciadiane è stato fondamentale per le forze armate francesi che sono intervenute nell’Azawad. Con le forze dell’esercito maliano e dell’ECOWAS incapaci di intervenire, N’Djamena ha inviato 2.200 uomini alla frontiera tra Niger e Mali in attesa dell’autorizzazione di entrare nel nord del Paese. In quel periodo di tempo, le forze ciadiane si sono prese la briga di sviluppare una prima cortina di intelligence in particolare nelle zone di Gao e di Kidal. Inoltre la presenza ciadiana in Niger è stato probabilmente un fattore di pressione ulteriore nei confronti del Movimento  di Liberazione dell’Azawad – MNLA e di Ansar Dine che, di fatto, all’inizio del conflitto si sono tirato fuori lasciando, ognuno con le sue tempistiche, le proprie posizioni. 

Una volta ottenuta la luce verde da Bamako e da Parigi, le forze ciadiane sono state fondamentali nel dare man forte nei combattimenti a quelle francesi, perché abituate a combattere nel deserto e perché avevano delle capacità logistiche e di combattimento che gli altri Paesi africani dell’ECOWAS non avevano. Bisogna anche sottolineare come le forze ciadiane abbiano subito perdite relative, tra le quali bisogna contare il ferimento del figlio del Presidente, Mahamat Idriss Déby, ufficiale in seconda delle forze ciadiane in Mali.

Peraltro l’entrata sullo scacchiere Maliano ha avuto due ripercussioni di primo piano. In primo luogo, le forze ciadiane hanno chiuso il lato sud-orientale delle regioni di Gao e Kidal, lasciando ai fondamentalisti l’unica via di fuga possibile : quella verso nord per le montagne dell’Adrar degli Ifoghas. Le truppe di N’Djamena hanno partecipato attivamente ai combattimenti in Mali e avrebbero ucciso (notizia non ancora confermata al 100%) due dei più importanti capi di Al Qaeda nel Magreb Islamico : Abou Zeid e Mokhtar Belmokhtar (quest’ultimo era il capo del movimento interno ad AQMI detto dei “Firmatari del Sangue” che si sono resi noti per l’attacco al complesso petrolifero di Is Amenas in Algeria). 

Riguardo allo scacchiere maliano, il Presidente Déby, dato il peso dell’intervento del suo Paese, ha alzato la voce, in particolare a fine febbraio. A seguito della perdita di alcuni uomini in un’imboscata nei pressi di Kidal in direzione delle montagne dell’Ifoghas, Déby si è scagliato contro l’ECOWAS, a ragione. In effetti, Déby ha sottolineato con forza in una riunione a Yamoussoukro che l’unico Paese africano che ha dispiegato forze preponderanti in un Paese membro dell’ECOWAS è proprio il Ciad, che non è membro dell’ECOWAS. Ad oggi, la missione dell’ECOWAS non è ancora diventata operativa e i nostri contatti locali in Mali affermano che la popolazione è molto riconoscente ai ciadiani e a Déby, unico presidente africano capace di dare un reale supporto alle operazioni in Mali.

Più di recente, il Presidente ciadiano ha affermato con forza a fine marzo scorso che “la minaccia jihadista esiste in Ciad”. Secondo Déby, l’aumentare della minaccia fondamentalista nel Paese è legato essenzialmente all’uccisione da parte delle forze ciadiane dei due leader di AQMI Zeid e Belmokhtar. Di fatto, le forze ciadiane sembrano aver ottenuto un peso tale da essere diventate indispensabili per la risoluzione dei conflitti in Africa Occidentale e Centrale.

Questo intervento ha fatto crescere la fiducia delle organizzazioni internazionali che hanno affidato di recente al Ciad un fondo di 10 milioni di euro per l’aiuto ai rifugiati di due altri conflitti che riguardano da vicino il Paese : il Sudan e la Repubblica Centrafricana. Se per il Sudan, il Ciad è politicamente fuori dai giochi e si limita a dare assistenza alle popolazioni che si presentano alla frontiera, per la Repubblica Centrafricana il discorso è diverso. In questo caso il governo ciadiano ha giocato il classico ruolo dell’ago della bilancia.

In effetti, il Ciad gioca da sempre un ruolo fondamentale nella politica interna della Repubblica Centrafricana. Le forze ciadiane avevano dato il proprio sostegno a François Boizizé per arrivare al potere nel 2003. Fino all’ottobre scorso, la guardia repubblicana di Boizizé era peraltro formata essenzialmente da forze ciadiane. Nel corso del mese di gennaio scorso, Déby aveva mandato circa 200 uomini per creare un cordone di sicurezza ad un centinaio di chilometri da Bangui per fermare l’avanzata dei ribelli Séléka. Due mesi dopo, il Ciad ha deciso che François Boizizé aveva fatto il suo corso dando il suo placet alla nuova offensiva dei ribelli. Proprio alla fine del mese di marzo scorso i ribelli hanno, di fatto, cacciato il Presidente Boizizé che si è rifugiato in Repubblica Democratica del Congo. 

Il Ciad però è fondamentale anche per il successivo sviluppo politico all’interno della RCA. In effetti, il 2 aprile si sono ritrovati proprio a N’Djamena i vari attori politici centrafricani e Déby ha gestito in un certo senso la riunione e i giochi di potere. Di sicuro il Presidente avrà conferito prima con Parigi, altro attore che ha lasciato solo il Présidente Boizizé e che avrebbe dato in leasing al Ciad la gestione della crisi centrafricana. Déby non si è fatto pregare e ha piazzato le sue pedine : ha ottenuto la conferma del Primo Ministro che Boizizé aveva nominato in seguito ai recenti accordi di Libreville, l’avvocato Nicolas Tiangaye, che è venuto fuori dall’opposizione centrafricana e ha gestito gli equilibri interni al nuovo governo optando per una distribuzione equa tra opposizione, Séléka e ex membri del governo precedente (che rimangono minoritari con un membro, ma comunque rappresentati). Di fatto, Déby ha tentato in qualche modo di ristabilire l’ordine delle cose seguendo le indicazioni dell’accordo di Libreville firmato da Boizizé e da Djotodia, il leader dei Séléka. In particolare, Déby sarebbe riuscito a strappare proprio a Djotodia, autoproclamatosi presidente di transizione, di definirsi incandidabile alle prossime elezioni che dovrebbero organizzarsi in RCA nel 2016. Un altro risultato sarebbe stato ottenuto da Déby: Tiangaye non dovrebbe presentarsi alle prossime elezioni legislative, sempre nel 2016. Di sicuro la posizione del Ciad sarà fondamentale per il futuro della RCA.

Le trattative in RCA potrebbero però andare avanti per un periodo abbastanza lungo. Dal canto suo, l’Unione Africana ha sospeso la RCA dalle sue organizzazioni e ha congelato gli averi dei sette responsabili del Séléka. Il Sudafrica ha fatto sapere che molto probabilmente ritirerà le sue 200 unità a seguito dell’uccisione di 13 uomini e il ferimento di altri 27 nel corso degli scontri che si sono verificati prima e durante la caduta di Bangui. I motivi di tale ritiro sono di politica interna poiché l’opinione pubblica sudafricana non capisce perché debba dispiegare i propri uomini così lontano dalla Madre Patria, dimenticando però che il Sudafrica si è sempre eretto a difensore della stabilità dei Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale – ECCAS.

In conclusione, il percorso per la normalizzazione della situazione sia in Mali che in Centrafrica sembra quindi erto di difficoltà. L’entrata in scena del Ciad in modo così importante ha però modificato alcuni equilibri. Basti pensare che prima dell’intervento in Mali, solo l’esercito nigeriano sembrava poter offrire un supporto militare interessante. Di fatto, questa sicurezza è stata spazzata via dall’intervento del Ciad, con truppe molto più numerose rispetto a quelle nigeriane (più di 2mila unità rispetto alle 600 proposte da Abuja) e con delle capacità di combattimento nettamente superiori. Che un Paese così forte e così vicino a Parigi entri in modo così nuovo e preponderante sullo scacchiere africano (occidentale e centrale) avrà delle ripercussioni fondamentali.

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