INDONESIA. Giacarta pronta ricevere i sopravvissuti ISIS di Baghouz

200

L’antiterrorismo indonesiano ha detto di essere pronta a consentire a centinaia di combattenti dello Stato islamico catturati e alle loro famiglie di tornare in patria, con una condizione significativa: devono rinunciare all’ideologia radicale che li ha portati in primo luogo in Siria e in Iraq.

I controlli avranno luogo in Siria, ma il direttore della National Counter Terrorism Agency, Bnpt, Suhardi Alius, ha riconosciuto che non sarà facile, dicendo che l’influenza delle donne in particolare non può essere sottovalutata, riporta Asia Times.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha messo in guardia all’inizio di quest’anno sul pericolo di presumere che gli uomini che ritornano siano una minaccia per la sicurezza più alta delle donne: «Le donne svolgono un ruolo importante nel reclutamento e nella propaganda di Isis (…) anche se non combattono, possono comunque diffondere idee radicali e incoraggiare altri a commettere attacchi».

Diversi paesi occidentali, tra cui Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi, hanno cercato di evitare le responsabilità giuridico politiche per i loro cittadini arrestati in Siria e in Iraq, insistendo sul fatto che le sfide logistiche e i rischi per la sicurezza rendono quasi impossibile per loro offrire qualsiasi aiuto.

Altri, come la Turchia, il Kosovo, la Russia e gli Stati dell’Asia centrale, come Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, hanno già rimpatriato centinaia di ex mujahidin Isis, anche se non sono poi stati così trasparenti nel mostrare cosa succede loro dopo il loro arrivo in patria.

Sono circa 200 tra donne e bambini indonesiani presenti nell’affollato campo profughi di Al Hol vicino al confine tra Siria e Turchia, il Bnpt non ha ancora una stima chiara di quanti indonesiani vi siano tra i mille militanti stranieri detenuti dalle sole Sdf, Forze democratiche siriane. Più di 120 terroristi indonesiani sono morti nel conflitto in Iraq e Siria dal 2014, ma l’Institute for Policy Analysis of Conflict, Ipac di Giacarta, ritiene che altri 200 uomini, non tutti combattenti, siano nelle prigioni curde.

Il Ministero degli Esteri indonesiano non ha alcuna registrazione di indonesiani processati in Iraq, dove i tribunali hanno già condannato a morte o a pesanti pene detentive più di 500 combattenti stranieri.

La maggior parte delle donne e dei bambini indonesiani del campo di Al Hol proveniva dalla città siriana di Baghouz, ultima roccaforte Isis. Dopo aver venduto tutte le loro proprietà, molti dei detenuti indonesiani hanno bruciato anche i loro passaporti una volta arrivati in Siria, fatto che li ha resi  ufficialmente apolidi fino a quando le autorità non hanno potuto controllare i loro certificati di nascita e rintracciare i familiari per verificare la loro identità. 

Il governo indonesiano ha istituito uffici di collegamento della polizia ad Ankara e Damasco e ha chiesto alle autorità turche di mettere i detenuti indonesiani su voli diretti a Giacarta, in modo che non potessero scendere in diversi punti di transito e rientrare in patria senza essere scoperti.

I servizi segreti prevedono che ben 500 indonesiani potrebbero rimanere in Siria, ma si ritiene che un numero imprecisato di militanti che non desiderano tornare a casa abbia attraversato la Turchia e l’Iraq per raggiungere l’Iran mentre si dirigevano in Afghanistan per unirsi a Isis nel Khorasan. Per quanto riguarda i rimpatriati, la sicurezza rimane la priorità numero uno dato che un detenuto è stato coinvolto negli attentati suicidi di Surabaya dell’anno scorso, che hanno fatto 28 vittime.

Molti indonesiani sono tornati a casa dal Medio Oriente delusi e senza un soldo dopo essere stati attratti dall’illusione di difendere un califfato e di essere accolti con privazioni e brutalità su una scala per la quale erano impreparati.

Le cellule ISIS rimangono attive in tutta l’Indonesia. Solo il mese scorso, l’unità antiterrorismo Detachment 88 ha bloccato un piano di Jamaah Ansharut Daulah, Jad, per compiere attentati suicidi durante le manifestazioni a Giacarta contro presunte frodi elettorali nelle elezioni presidenziali di aprile.

Antonio Albanese