«L’India ha vinto. Bei tempi in vista»

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ITALIA – Roma 17/05/2014. La sua prima promessa l’ha mantenuta, il primo ministro in pectore indiano Narendra Modi: ottenere una vittoria schiacciante, riducendo in macerie l’Indian National Congress (INC) della dinastia Gandhi-Nehru.

Con oltre 330 seggi ottenuti (per aggiudicarsi la maggioranza della Camera Bassa ne bastavano 272) la National Democratic Alliance (NDA), coalizione guidata dal Bharatiya Janata Party (BJP), formazione nazionalista indù di cui Modi è leader, ha ottenuto il miglior risultato elettorale degli ultimi 30 anni. Con circa 60 seggi, invece, la coalizione guidata dall’INC, la United Progressive Alliance (UPA), ha fatto registrare la peggiore performance elettorale di sempre, dissipando un capitale accumulato nei decenni.
In pochi, in realtà, nutrivano seri dubbi sul trionfo del BJP a questa tornata elettorale.
Troppo poco aveva fatto l’INC durante gli ultimi anni di governo per guadagnarsi anche solo la possibilità di conquistare un terzo mandato. Una lunga serie di scandali per corruzione e la mancata adozione di riforme strutturali hanno frenato la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL), portandolo al di sotto del 5%, tasso insufficiente ad assorbire una forza lavoro in costante espansione.
La campagna elettorale condotta da Rahul Gandhi non ha saputo scrollarsi di dosso la sensazione che non ci fosse davvero nulla da fare per ribaltare i pronostici della vigilia e contrastare l’ondata zafferano del BJP. La stessa decisione dell’Indian National Congress di non annunciare il nome di un candidato alla guida del governo è stato letto come il tentativo, non si sa quanto efficace, di non bruciare anzitempo la corriera politica del rampollo della dinastia Gandhi. Eppure sono in molti a ritenere che il partito deciderà presto di puntare sulla più carismatica Priyanka Vadra, sorella minore di Rahul, per risollevare le proprie sorti elettorali.
Troppo debole è stata anche l’opposizione esercitata dell’Aam Aadmi Party (AAP), formazione guidata dall’attivista Arvind Kejriwal, che ha fatto della lotta alla corruzione il pilastro della sua agenda politica e aveva ottenuto un risultato sorprendente alle elezioni locali di dicembre dello stato di Nuova Delhi. Nato non prima del novembre 2012, l’AAP (letteralmente “partito dell’uomo comune”) non ha avuto il tempo sufficiente per radicalizzarsi sul territorio e sottrarre consensi ai due partiti nazionali e alla miriade di formazioni regionali presenti nel Paese.
Sapientemente sostenuta dai media, la campagna elettorale di Narendra Modi è sembrata, dunque, un’inarrestabile cavalcata verso i palazzi del potere. In questi mesi, il leader del BJP ha percorso circa 300.000 km e tenuto 457 comizi per diffondere in tutto il Paese il proprio messaggio politico, l’idea che costruire una nuova India, meno corrotta e più meritocratica di quella vista negli ultimi anni, sia possibile. Con una metafora carica di simbolismo, Modi ha promesso agli indiani che, così come ripulirà il sacro fiume Gange dall’inquinamento, ridarà vita a una nazione macchiata dall’onta della corruzione e schiacciata dal peso di una burocrazia elefantiaca.
L’economia ha rivestito un ruolo assolutamente centrale nella campagna elettorale del leader nazionalista, sebbene il suo programma di governo sia rimasto, in molti casi, vago sui contenuti, costruito più su una serie di slogan capaci di fare presa sulla popolazione che su proposte concrete. Grazie, tuttavia, alla lunga e positiva esperienza alla guida del governo dello stato del Gujarat, Modi ha potuto fornire una base concreta ai suoi proclami pro-mercato, prospettando agli indiani un futuro di crescita e sviluppo. Durante il suo governo, infatti, il PIL del Gujarat è cresciuto a un tasso medio di quasi il 10%, costantemente al di sopra di quello nazionale. Con solo il 5% del totale della popolazione indiana, questo stato copre attualmente circa il 16% della produzione manifatturiera nazionale e il 25% del totale delle esportazioni. Tra i principali successi rivendicati da Modi, vi sono lo sviluppo delle infrastrutture (in particolare, della rete elettrica) e la semplificazione delle procedure burocratiche, con una conseguente riduzione della corruzione. Un sempre più massiccio utilizzo della e-governance (tramite, ad esempio, l’organizzazione di aste online) ha consentito al leader del BJP di incrementare significativamente il livello di trasparenza e ridurre, parallelamente, tempi e costi dell’azione di governo.
La comunità economica indiana e internazionale ripongono, dunque, molta fiducia in Narendra Modi. Già a novembre del 2013, l’agenzia americana Goldman Sachs aveva aggiornato il rating dei titoli del tesoro indiani da “underweight” a “marketweight”, proprio alla luce della sua possibile elezione alla guida del governo. Tra febbraio e marzo, si è registrato un significativo aumento nell’afflusso di investimenti esteri, che ha anche favorito il progressivo rafforzamento della rupia. Negli ultimi mesi, gli indici di borsa hanno fatto registrare consistenti guadagni, a fronte della generale debolezza degli altri mercati emergenti.
In pochi avrebbero scommesso sull’ascesa di Modi alla guida del governo nazionale quando, nel 2002, proprio nel “suo” Gujarat, la morte di 59 persone (in prevalenza pellegrini indù) provocata dall’incendio, in circostanze mai chiarite, di un treno fermo presso la stazione di Godhra, scatenò il massacro di oltre un migliaio di persone, in prevalenza di fede musulmana. Il treno incendiato, infatti, faceva ritorno dalla località di Ayodhya, luogo in cui si erano svolte le celebrazioni in memoria della demolizione, nel 1992, da parte dei militanti del gruppo nazionalista indù “Rashtriya Swayamsevak Sangh” (RSS), della Moschea di Babri, luogo sacro costruito sulle rovine di un antico tempio indù. Modi affermò in conferenza stampa che si trattava di un incendio doloso di matrice terroristica, contribuendo, con le sue dichiarazioni a scatenare le violenze contro i musulmani. Accusato di non aver adottato le misure necessarie per fermare il massacro, il leader del BJP è stato successivamente assolto da una commissione speciale nominata dalla Corte Suprema. Assoluzione che non ha, tuttavia, cancellato il sospetto che il primo ministro in pectore dell’India non avesse voluto agire a tutela di una minoranza che rappresenta circa il 15% della popolazione indiana. Spettri tornati ad aleggiare sul paese in seguito all’uccisione, all’inizio di maggio, nello stato di Assam, di 41 musulmani di origine bengalese, da parte di militanti della comunità di etnia Bodo. Simili episodi sono piuttosto frequenti in quest’area del Paese, ma il timore è che le invettive lanciate pochi giorni prima da Narendra Modi contro gli immigrati del Bangladesh abbiano, in qualche modo, galvanizzato gli aggressori.
La popolazione indiana, con una maggioranza schiacciante, ha deciso, tuttavia, di guardare oltre, spinta dal forte desiderio di raggiungere più elevati livelli di benessere. Numerosi sono gli ostacoli che il governo di Narendra Modi dovrà superare per realizzare le promesse fatte. Il chiaro mandato consegnatogli dalla popolazione priverà l’esecutivo di un alibi spesso utilizzato dai precedenti governi. Solo la Camera Alta del Parlamento (Rajya Sabha), ancora dominata dall’Indian National Congress, potrà, in qualche modo, ostacolare quello che è stato annunciato come un inarrestabile processo riformatore chiamato a trasformare il volto stesso del Paese, rendendo più appetibile per gli investitori stranieri.
«L’India ha vinto. Bei tempi in vista». Con queste parole Narendra Modi ha accolto i risultati delle elezioni. Di certo si assisterà, nel breve periodo, a un’ondata di entusiasmo che porterà alcuni benefici a un’economia che per ora arranca, ma sarebbe sbagliato sottovalutare i rischi che l’elezione di un personaggio tanto controverso comporterà per il Paese.