Il costo dell’inquinamento atmosferico in Africa

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di Maddalena Ingrao  FRANCIA – Parigi 21/10/2016.  L’Africa sta vivendo una nuova crisi: l’aumento esponenziale dell’inquinamento atmosferico.

Nonostante i dati africani non siano in controtendenza rispetto a quelli globali, riporta lo studio dell’Ocse: The cost of air pollution in Africa,  ci sono buone ragioni per supporre che l’Africa si stia dirigendo verso una crisi ulteriore che va ad aggiungersi alle precedenti.

Nel quarto di secolo 1990-2013, il bilancio annuale di morti premature causate da “tradizionali” inquinanti forme di consumo energetico cambiano poco in tutto il mondo, tranne che in Africa dove sono aumentate del 18%; nello stesso periodo, il numero annuale di morti premature da trasporto su strada, industria e produzione di energia, è aumentato in tutto il mondo di circa il 30%, mentre in Africa del 36%.
Il trend futuro non accenna a migliorare, riporta l’Ocse, senza cambiamenti drastici.

Dal 1990 ad oggi, ogni cinque anni, il numero di morti da inquinamento atmosferico in Africa è aumentato di pari passo con la crescita della popolazione urbana africana; ogni proiezione demografica per i prossimi decenni mostra una continua crescita della popolazione urbana, sia in termini assoluti che relativi. Così, la futura crescita urbana dell’Africa potrebbe anche portare con sé una crescita esplosiva di morti premature dovute alle varie forme di inquinamento atmosferico.

Questo rischio non sembra essere considerato dai politici africani, riporta lo studio Ocse. Tuttavia, i responsabili delle decisioni e i loro componenti in Africa non sembrano essere sufficientemente concentrati su questo futuro. L’inquinamento atmosferico oggi è più sentito in Cina, dove il tema è all’ordine del giorno, cosa che non avviene in Africa, dove l’attenzione resta sulle sfide ambientali e di sviluppo.

«Se riconosciamo l’inquinamento atmosferico una parte di una più ampia convergenza di sfide ambientali, vecchie e nuove, non dovrebbe esserci una risposta convergente piuttosto che un continuo rinvio?» si chiede lo studio Ocse.