G20: protezionismo protagonista

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RUSSIA – Mosca. 19/08/13. Sui giornali russi si comincia a dare spazio al prossimo summit del G20 che si terrà a San Pietroburgo il 5 e il 6 settembre. Ksenija Judaeva, capo del dipartimento peritale presso il presidente della Russia, sostiene che il tema centrale del summit sarà il protezionismo.

 

«Nel 2013, si legge sulla voce della Russia, scade contemporaneamente la validità di due convenzioni sul divieto del protezionismo nel commercio, ossia la decisione dei leader del G20 adottata nel 2010 a Toronto e la risoluzione del summit dell’ATEC (Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica) presa nel 2010 a Yokohama. È logico che il G20 intenda discutere cosa fare ulteriormente, rileva Evghenij Gavrilenkov, economista capo della compagnia di investimento “Trojka Dialog”».

Il problema è particolarmente sentito ora che i Paesi industrializzati sono in forte sofferenza per via della crisi economica mondiale, mentre i Paesi in via di sviluppo stanno continuando a crescere in alcuni anche con cifre a due zero, vedi la Mongolia. 

Secondo l’economista russo: «I leader hanno convenuto di non elevare le barriere commerciali, di non introdurre nuove restrizioni e di non adottare provvedimenti speciali per la stimolazione con vari metodi delle proprie esportazioni. Ciò è stato fatto nel travagliato periodo post-crisi e allora è stato deciso di rispettare la relativa convenzione fino alla fine del 2013. Adesso questo periodo sta per finire e, come vediamo, i fenomeni di crisi nell’economia non sono ancora scomparsi e molti paesi, come prima, non mostrano nessuna crescita economica. Sorge naturalmente il desiderio di continuare la linea protezionistica».

Ogni Paese ha infatti dei punti di forza a cui non può rinunciare in questo particolare momento storico, pena l’incremento della crisi economica, e quindi un abbattimento delle barriere puro e semplice sarebbe solo molto dannoso per quei Paesi e porterebbe molti benefici alla fine ai soliti grandi gruppi, vedi multinazionali, vedi Paesi in via di sviluppo che hanno normative molto blande in materia di tassazione imprenditoriale, mercato del lavoro, previdenza, ambiente, etc.. Nel dare vita alle liberalizzazione dei beni e dei servizi non si è tenuto conto della concorrenza sleale che si viene a creare tra i Paesi che hanno adottato norme severe nelle materie suddette e che hanno introdotto diritti “costosi” in favore del lavoro, dell’ambiente e dei consumatori e chi le elude o semplicemente non le prevede. 

Appartiene ormai al passato il protezionismo classico, vedi la guerra del tè. Stanno scomparendo anche le guerre tariffarie vedi quella del mercato automobilistico tra Cina ed USA. Adesso i relativi metodi sono diventati di gran lunga più eleganti e la retorica più ricercata.

«Al summit del G20 tutti i paesi, più probabilmente, dichiareranno di sostenere il divieto del protezionismo e poi troveranno metodi per aggirarlo, dice Viktoria Perskaja, vicedirettore del Centro di studi internazionali presso la Scuola per imprenditori di Mosca». Alla voce della Russia. Secondo Viktoria, a questi Paesi non resta nient’altro da fare. Il protezionismo è richiesto dall’attuale economia post-crisi, mentre la diplomazia esige una rinuncia pubblica allo stesso.

Dopo tutto alcune azioni di tipo protezionistico nazionale sono già in atto tra i Paesi europei, tra Ue e Cina, tra Usa e Cina, etc. Vedi i casi dei brevetti nel settor della telefonia, quellod el fotovoltaico e dei vini tra Ue e Cina, etc.

Ogni liberalizzazione ha il suo cavillo normativo per proteggere il prodotto, bene, servizio locale, a questo punto viene da chiedersi se non sarebbe più consono ritagliarsi delle sfere “protette” dichiararle e dare a ogni Paese l’opportunità di salvaguardare fette importanti di mercato interno. Oppure stabilire regole mondiali per il lavoro, ambiente, sanità, previdenza e decidere di affidare al mercato una sfida di qualità.