FINANZA. Perché Trump attacca le valute di Brasile e Argentina

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Il presidente Donald Trump ha messo nuove tariffe su Brasile e Argentina dopo averle accusate di aver manipolato le loro valute per incrementare le esportazioni. Non si tratta della prima volta che Trump ha definito un altro paese come “manipolatore di valuta” per presunte interferenze politiche tese a mantenere la propria valuta debole o sottovalutata. La Cina è stata definita così ben prima della guerra commerciale. Ma la interferenza politica nel tasso di cambio della propria valuta, spesso chiamata manipolazione valutaria, è estremamente comune, riporta AlterNet.

Bene o male, quasi tutti i 189 membri del Fondo Monetario Internazionale si intromettono, in modo differente, per influenzare o fissare i loro tassi di cambio. Solo a poche valute importanti, come il dollaro o l’euro, è consentito un “free float” basato sulle forze di mercato dell’offerta e della domanda con un intervento governativo minimo o nullo.  

Altri governi hanno una varietà di modi per gestire le loro valute: ancorarle a un tasso fisso, purché possano permettersi di mantenerlo; legarle ad una valuta importante ma stabile come l’euro o un paniere di valute diverse.

Circa il 16% dei membri del Fmi utilizzano un “float controllato”, in cui permettono alle forze di mercato di svolgere un ruolo, ma con la presenza del governo che compra o vende la propria valuta, se necessario, per influenzare il tasso di cambio verso l’alto o verso il basso: Argentina e Brasile usano questa pratica.

Una moneta più debole rende i prodotti che vende all’estero più economici, mentre le importazioni più costose per i consumatori. Ciò può avere l’effetto di aumentare i posti di lavoro nel mercato interno: Trump ritiene che questo sia ciò che stanno facendo Brasile e Argentina.

Una simile pratica ha però un difetto base: una moneta debole rende anche le importazioni più costose per le imprese che si affidano a fattori di produzione stranieri per realizzare i loro prodotti. Quindi i costi di importazione più elevati, insieme all’inflazione costantemente elevata sia in Argentina che in Brasile, compensano ampiamente gli eventuali guadagni delle loro valute più deboli.

Di fronte c’è il dollaro Usa, innaturalmente forte, riporta AlterNet. Una delle ragioni della forza del dollaro è che i tassi di interesse corretti per l’inflazione negli Stati Uniti sono ancora relativamente alti; altra ragione è che il dollaro è ancora attraente per depositare i contanti vista l’incertezza economica globale, Venezuela Docet.

Come risultato, negli ultimi anni una quantità massiccia di valuta straniera è confluita in depositi bancari denominati in dollari, obbligazioni del tesoro, azioni e beni immobili statunitensi. E la realtà è che il dollaro è ora eccezionalmente forte, ma non che le altre valute siano deboli o manipolate.

Ergo, si tratta anche stavolta di una questione che riguarda più la politica e le relazioni geopolitiche che la politica monetaria stessa.

Graziella Giangiulio