Energie rinnovabili, l’UE detta le regole della cooperazione

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Uno sviluppo integrato e condiviso delle energie rinnovabili nell’Unione europea può contribuire alla realizzazione di un mercato unico, privo di ostacoli alla libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi e all’industrializzazione di aree economicamente svantaggiate.

 

La direttiva europea del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recepita in Italia dal decreto legislativo n°28 del 2011, prevede la cooperazione tra gli Stati membri in materia di sviluppo e produzione di energia rinnovabile attraverso “trasferimenti statistici”, “progetti comuni”, “regimi di sostegno comuni”. I primi consentono ad uno Stato membro che genera un’eccedenza di energie rinnovabili di “venderle” a un altro Stato membro nel quale la produzione di tali energie ha costi più elevati. Così facendo lo Stato che vende riesce a coprire almeno i costi di produzione e l’altro ottiene un contributo al raggiungimento del proprio obiettivo a costi contenuti. I secondi prevedono che  progetti  sulle energie rinnovabili avviati in un dato Stato membro possono essere co-finanziati da un altro Stato membro e la relativa produzione viene suddivisa proporzionalmentetra i due, portando, anche in questo caso, reciproci vantaggi e risparmi sui costi. I “progetti comuni” possono riguardare anche uno Stato membro e un paese terzo purché l’energia prodotta, ad esempio in Nord Africa, sia poi importata nell’UE. I “regimi di sostegno comuni”, infine, permettono a due o più Stati membri di unire o coordinare parzialmente i loro regimi di sostegno nazionali  per lo sviluppo di energie rinnovabili, per integrare in modo chiaro l’energia nel mercato comune e per ripartire la produzione secondo una norma basata sulla provenienza del sostegno finanziario.

La collaborazione tra gli Stati membri in materia di energie sostenibili rappresenta uno strumento basilare per il raggiungimento e superamento degli obiettivi della strategia Europa 2020 e per la conseguente crescita dell’occupazione nel settore. I meccanismi di cooperazione dettati dalla direttiva, inoltre, sono essenziali al fine di attirare investimenti esteri in Italia, soprattutto al Sud, dove le condizioni geografico-ambientali favoriscono lo sfruttamento delle energie rinnovabili. D’altro canto, la norma apre alle imprese italiane nuove possibilità di profitto mediante “esportazioni” di conoscenze e tecnologie in regioni o Paesi, anche al di fuori dell’Europa, e contribuendo al loro sviluppo industriale.

Uno stimolo alla cooperazione nella green economy viene dato anche dalla proposta della Commissione del 17 ottobre, volta a ridurre al minimo l’impatto della produzione di biocarburanti sul clima. L’obiettivo della suddetta è favorire lo sviluppo di biocarburanti di seconda generazione, derivati da materie prime non alimentari, come i rifiuti o la paglia, che non interferiscono direttamente con la produzione alimentare mondiale.

La crescita frammentata e contenuta del settore delle energie rinnovabili in Europa è dovuta, per buona parte, ad un quadro normativo debole che dal 1997 al 2008 ha fissato obiettivi non vincolanti; gli Stati membri si sono concentrati così sulle risorse nazionali senza tentare di ridurre i costi, sviluppando risorse che sono meno costose in altre parti del mercato unico. Con la direttiva del 2009, però, l’UE ha instaurato un quadro legislativo completo, solido e stimolante. Ora occorre passare dalla fase di programmazione strategica all’attuazione con azioni concrete, per  far si che lo sviluppo delle energie rinnovabili possa assumere una prospettiva europea anziché nazionale.