Servono decisioni politiche forti per salvare la terra

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GERMANIA – Berlino 30/04/2014. L’obiettivo di contenere entro il 2100 l’aumento della temperatura media mondiale di 2°C, rispetto ai livelli preindustriali, ovverosia non superare per la fine del secolo una concentrazione di CO2 pari a circa 450 ppm (parti per milione), appare impossibile in assenza di decise politiche di mitigazione.

È quanto si evince dalla relazione del Working Group III dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) intitolata “Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change”, che costituisce la terza e ultima parte del 5° rapporto IPCC sulla valutazione dei cambiamenti climatici (Fifth Assessment Report, AR5), di cui si prevede la pubblicazione tra settembre e ottobre 2014.

Nello specifico il documento, frutto della collaborazione di 235 studiosi di 58 Paesi del mondo e presentato lo scorso 13 aprile a Berlino, propone una dettagliata valutazione delle opportunità, dei costi e dei benefici per differenti settori economici e per l’economia globale derivanti da diversi scenari di contenimento della concentrazione di CO2 atmosferica, ponendo attenzione alla dimensione internazionale ed ai rapporti tra Paesi industrializzati, economie emergenti e Paesi in via di sviluppo, alle politiche nazionali e locali, alle questioni etiche quali equità, diritto al benessere, giustizia.

Dallo stesso rapporto emerge che, nonostante misure contrastive approvate in buona parte degli Stati del mondo ed una temporaneo rallentamento dovuto all’inizio della crisi economica del 2007, nel decennio 2000-2010 la crescita annuale dei rilasci atmosferici di CO2eq (2,2%) è stata superiore a quella del decennio precedente (1,3%). La CO2, inoltre, rimane il principale gas climalterante, costituendo, nel 2010, il 76% del totale dei gas serra presenti in atmosfera, seguito da metano (16%), ossido di azoto (6,2%) e dai gas di fluoro (2,0%). Per quanto concerne i settori a più alto tasso di emissioni, sempre relativamente al 2010, troviamo l’energetico con il 35%, che precede il comparto agricoltura, foreste e territorio (AFOLU) con il 24%, l’industria con il 21%, i trasporti con il 14% ed il settore residenziale con il 6,4%. È altresì importante sottolineare il peso rilevante acquisito negli ultimi dieci anni dai Paesi cosiddetti Upper Middle Income (UMI), e tra questi soprattutto la Cina, nell’incremento delle emissioni di gas climalteranti dovute alla produzione e alla commercializzazione di prodotti ad alta intensità di carbonio.

Secondo gli autori del “Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change” al fine di contrastare il global warming è urgente l’approvazione a livello globale di misure che incrementino il contributo dei sistemi di produzione energetica a bassa intensità di carbonio al paniere dell’energia primaria. Rinviare il taglio delle emissioni di gas serra, infatti, comporterebbe in futuro un considerevole aumento della difficoltà e dei costi di gestione del riscaldamento terrestre. Tali difficoltà e costi, per di più, graverebbero maggiormente sulle economie deboli e in via di sviluppo.

I cambiamenti climatici, dunque, avendo una forte rilevanza economica e finanziaria, globale e nazionale, non possono essere affrontati come un tema esclusivamente ambientale. Essi devono essere conosciuti e compresi anche dai cittadini comuni, poiché, come ha affermato Carlo Carraro, rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, esimio rappresentante del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), della Fondazione Eni Enrico Mattei (Femm) e  vice-presidente del Working Group III IPCC, «C’è una dimensione etica che chiama in causa la collaborazione tra Paesi senza la quale non si riesce a intervenire in maniera efficace né sui cambiamenti climatici, né sullo sviluppo del Pianeta».

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