CIna- Ue riaperto il dialogo sul fotovoltaico

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BELGIO – Bruxelles 07/07/2013. Il 3 agosto sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata pubblicata la Decisione della Commissione Europea che accetta l’impegno offerto dalla Cina in relazione al procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali, celle e wafer, originari o di provenienza cinese.

 

Sebbene i termini dell’accordo non siano esplicitati nella Decisione, secondo fonti Ue anonime, i cinesi dovranno impegnarsi a non scendere sotto i 0,56 euro/W per i moduli e a non superare complessivamente i volumi massimi di esportazione di 7 GW/anno. I produttori cinesi che non si adegueranno a queste condizioni, invece, saranno soggetti a dazi antidumping, imposti dal 6 agosto 2013, ad una media del 47,6%. L’intesa coinvolge circa 90 produttori e la Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici (CCME) e dovrebbe rimanere in vigore fino alla fine 2015.

Per il commissario Ue al commercio Karel De Gucht, che ha recitato un ruolo da protagonista nel corso di queste settimane di negoziati, l’accordo stabilizzerà il mercato del solare, dando «l’ossigeno necessario alle aziende europee, e anche alle imprese di altri Paesi, per investire nuovamente nella ricerca e sviluppo in modo da sviluppare una nuova generazione di pannelli solari». Questa “soluzione amichevole”, ha inoltre sentenziato De Gucht, porterà i pannelli fotovoltaici ad un prezzo sostenibile e si tradurrà in un nuovo equilibrio sul mercato europeo, rimuovendo così i danni che le pratiche di dumping hanno causato all’industria europea del settore.

Ad esultare per la Decisione della Commissione sono anche i 18 Paesi dell’Ue, capitanati dalla Germania, da sempre favorevoli ad una mediazione poiché ritengono che la Cina abbia dato un contributo fondamentale allo sviluppo del mercato solare in Europa, così come l’AFASE (Alliance for Affordable Solar Energy), rappresentante circa 700 aziende, anche’esse ostili rispetto a misure protezionistiche nei confronti dei prodotti fotovoltaici cinesi e già contrarie all’introduzione dei dazi preliminari dell’11,8% imposti dall’Ue dallo scorso 5 giugno. Di tutt’altro avviso è l’IFI, associazione che riunisce circa il 90% dei produttori nazionali di celle e moduli fotovoltaici, secondo la quale la Commissione Europea è uscita dai binari della valutazione tecnica del problema, cedendo a pressioni politiche fatte da alcuni Paesi, come la Germania, impauriti dalle possibili ritorsioni cinesi e perciò più interessati a tutelare la propria bilancia commerciale nei confronti della grande stato asiatico, piuttosto che a difendere un principio del diritto, internazionale e comunitario.

In un comunicato firmato del presidente dell’IFI Alessandro Cremonesi, si legge: «Non è accettabile che la Commissione non si sia resa conto che se c’è stato un calo nel livello di prezzi è proprio dovuto al fatto che l’industria europea per non chiudere le proprie fabbriche e mantenere al massimo il livello occupazionale abbia dovuto comprimere i propri margini fino a renderli prossimi allo zero, proprio per cercare di contrastare il dumping cinese e ritagliarsi quote di mercato da sopravvivenza. E’ come se la Commissione UE sia rimasta del tutto  ignara e impermeabile rispetto al fallimento di oltre 65 produttori di celle e moduli fotovoltaici in Europa e in Italia nell’ultimo anno e mezzo». E ancora: «Il prezzo offerto dai cinesi e accettato dalla Commissione, pari a 57 eurocents per watt è quello che l’industria Europea sostiene come costo delle materie prime e costi diretti e indiretti per la produzione dei moduli; cui vanno poi aggiunti i costi fissi, quelli di struttura (SG&A) e il trasporto. In media, tali costi aggiuntivi contano per circa altri 9-10 eurocents per watt sul costo del modulo, portando il costo totale dei moduli fabbricati in Europa e Italia a circa 67 eurocents per watt, senza prendere in considerazione alcun margine di profitto. Evidentemente ci troviamo ancora una volta dinnanzi a un prezzo di dumping nei confronti del quale nessun produttore europeo potrà competere». I volumi massimi di esportazione, inoltre, secondo l’IFI, non tengono assolutamente in considerazione della compressione del mercato europeo a causa della sopraggiunta eliminazione o riduzione di meccanismi incentivanti e dell’instabilità di politiche di supporto alle rinnovabili anche in Paesi dell’est Europa. «Con un valore massimo di esportazione consentito di 7 GW – dunque- si finisce per offrire in mano ai cinesi il 100% del mercato europeo».

Proprio per le suddette motivazioni, infine, EU Pro Sun ha già comunicato ufficialmente il ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, al fine di accertare eventuali responsabilità della Commissione a discapito delle aziende comunitarie.