CINA. Il dilemma di Riad e la strategia di Pechino

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Il governo cinese sta compiendo una serie di passi per portare le riserve di idrocarburi dell’Arabia Saudita nella sua orbita. Attraverso l’iniziativa Belt and Road e un’offerta di investimento nella compagnia petrolifera statale del regno, Saudi Aramco, i cinesi stanno gettando le basi per un profondo cambiamento economico in Medio Oriente e quindi nel mondo, riporta Ndtv.

La Cina è lentamente diventata un partner energetico molto più importante per l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo; il suo emergere come potenza economica ha alimentato sempre più la sua voglia di dettare le regole del mercato dell’energia: negli ultimi anni, ha ridotto la sua quota di importazioni di energia da parte dei membri dell’Opec a favore dei paesi non Opec, a causa della preferenza per l’acquisto di petrolio e gas di usare yuan o valuta locale dell’esportatore, piuttosto che dollari. La Cina importa oggi circa un quarto della sua energia dall’Arabia Saudita, ma la Russia ha recentemente soppiantato il regno come primo produttore di energia cinese.

Una ragione ovvia per cui la Cina vuole che il petrolio sia scambiato in yuan è aumentare la domanda globale di attività denominate in yuan. Questo aumenterebbe l’afflusso di capitali e potrebbe portare lo yuan ad essere un’alternativa globale al dollaro americano. Se fosse accettato da Riad tutto il resto dei produttori ne seguirebbe l’esempio.

Gli investimenti cinesi nelle infrastrutture saudite richiederebbero decenni per essere completati, ma Pechino avrebbe guadagnato una preziosa posizione nel Golfo e probabilmente persuaderà uno dei principali produttori di petrolio del mondo ad diversificare il modo in cui il petrolio viene commercializzato. Inoltre, l’ Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, forniscono un importante hub ai mercati mediorientali e africani attraverso i loro porti, aeroporti e reti globali.  Pechino e Riyadh hanno già annunciato una serie di accordi in vari settori, tra cui l’aumento delle esportazioni di energia e un fondo di investimento condiviso per 20 miliardi di dollari.

La scelta tra Washington e Pechino è molto difficile per l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo produttori di petrolio: da un lato, l’alleanza con gli Stati Uniti, per quanto altalenante, è il fondamento della sicurezza regionale; d’altra parte, la crescita del consumo energetico continuerà ad essere centrata ad est del Regno, non più ad ovest.

Le compagnie petrolifere statali cinesi PetroChina e Sinopec hanno già espresso interesse per un acquisto diretto del 5% di Saudi Aramco. Questo potrebbe rivelarsi un vantaggio per il principe ereditario Mohammed bin Salman, che ha aperto la vendita di azioni di Aramco per 2.000 miliardi di dollari in un’ attesa offerta pubblica iniziale, prevista per il 2018.

Graziella Giangiulio