CANADA. El-Farouk Khaki, Imam e attivista LGBT+

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Dobbiamo resistere a coloro che diffondono l’odio,
insegnano l’odio e negano l’umanità degli altri,
specialmente quelli che lo fanno in nome di Dio.
Noi dobbiamo resistere perché possiamo;
Noi resistiamo perché dobbiamo;
perché il nostro bene è bene comune”.
[El Farouk Khaki]

Il 19 luglio, presso l’el-Tawhid Juma Circle Unity Mosque, di Toronto (Canada), AGC Communication ha intervistato El- Farouk Khaki, Imam e attivista LGBT+, per conoscere il suo lavoro e il suo pensiero politico e religioso. Le ragioni che ci hanno spinto a fare questa breve intervista partono dall’idea che il pensiero politico islamico sia molto variegato: numerose visioni, posizioni e interpretazioni (ijtihad) della parola di Allah e del suo profeta Maometto, che risultano spesso di difficile comprensione. In merito a questa difficoltà, abbiamo deciso di conoscere l’Imam Khaki, il cosiddetto “Progressive Islam” e la sua applicazione pratica nella moschea da lui guidata. El-Farouk Khaki – classe 1963 – è un cittadino canadese originario della Tanzania, musulmano Sufi della confraternita turca dei Rifa’i, avvocato che si occupa di rifugiati, attivista LGBT+ e Imam della Toronto Unity Mosque.

AC: Gentile Imam Khaki, può spiegare in che cosa consiste il cosiddetto Progressive Islam di cui lei risulta essere essere un esponente?

EFK: «This a huge question!»– risponde sorridendo. In primo luogo, il Progressive Islam non è un altro tipo di Islam, ma una sua interpretazione “inclusiva” che, purtroppo, è andata persa,  offuscata o distorta da altre. Ed è per questo motivo che preferisco parlare di Islam “inclusivo”, piuttosto che di Progressive Islam, visto che per sua stessa natura l’Islam è progressivo. Identificare cos’è progressivo da cosa non lo è potrebbe comunque dipendere da che cosa contribuisce a creare un ambiente inclusivo dove ognuno è il benvenuto, senza alcuna discriminazioni politica, religiosa, sessuale e di genere. Un luogo dove ognuno può accrescere la propria dignità.

In linea con questa visione o interpretazione è stata creata dall’Imam El-Farouk Khaki, dalla Dott.ssa Laury Silvers e da Troy Jackson, El-Tawhid Juma Circle: una moschea che afferma la parità di genere, accogliendo tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal genere, dalla propria fede e dalla classe sociale. Uno spazio di preghiera protetto – come si apprende sul proprio sito web www.jumacircle.com – dove si celebra la diversità e l’inclusione, in quanto tutti gli esseri umani sono uguali davanti ad Allah. Un’idea molto chiara che si ispira al concetto di Tawhid con il quale si intende ribadire l’unicità di Dio, del suo messaggio, ma anche della comunità dei fedeli, senza distinzione e negazione della propria libertà politica, religiosa e sessuale.

AC: In merito alla Toronto Unity Mosque da lei guidata, la cui caratteristica è accogliere tutti, può fornirci delle informazioni rispetto alla sua composizione?

EFK: La composizione della nostra Moschea è molto variegata, sia  dal punto di vista del credo che della provenienza geografica: ci sono sunniti, sciiti e Sufi, provenienti da differenti parti del mondo, con differenti esperienze ed orientamenti sessuali. E oltre le persone qui presenti oggi – una ventina – la nostra moschea utilizza i social media, in particolare modo Facebook, per permettere ad altri fedeli di seguire la nostra preghiera del venerdì, anche da altre parti del mondo. Oggi, ad esempio, hanno partecipato, tramite videochiamata, persone dal Sud Africa, Kenya, Irlanda e Stati Uniti d’America (Wiskonsin e Minnesota). Ogni venerdì, sia online che in moschea, partecipano persone differenti.

È interessante notare come le regole “tradizionali” adottate da altre moschee durante il servizio settimanale del venerdì non si trovano all’interno della Toronto Unity Mosque: le donne non pregano in un’altra stanza o in fondo alla sala, le letture sono sia in arabo che in inglese, non esiste un dress code obbligatorio, la chiamata alla preghiera non è fatta solo da uomini e i fedeli non si posizionano dietro l’Imam, ma a cerchio in modo tale che tutti possano partecipare senza creare uno spazio “gerarchico”.

AC: Ci sono altre comunità in Canada e nel mondo con la vostra confessione religiosa?

EFK: C’è un numero crescente di comunità e di spazi, affiliati ufficialmente o meno a noi, a Vancouver, Calgary, Montréal, Ottawa ma anche ad Atlanta, Cape Town, Berlino e nel Regno Unito.

Dalla sua risposta si evince che il contesto politico e sociale all’interno del quale si inserisce questa moschea è quello di un Paese, il Canada, molto sensibile alle tematiche della comunità LGBT+. In occasione degli 83 Pride canadesi, le principali città dell’est del Paese – Toronto, Ottawa e Montréal- sono tappezzate da bandiere arcobaleno, che ritroviamo addirittura nella Cattedrale di San Michele, che è il maggior luogo di culto cristiano-cattolico della “capitale” finanziaria canadese. L’arcobaleno è letteralmente ovunque: nei negozi di abbigliamento, nelle caffetterie Tim Hortons, nei bancomat della TD bank, in alcune strisce pedonali di Ottawa, e in molti altri posti ancora. In Canada – così come abbiamo riscontrato personalmente a St. Catherine Street East di Montréal – non solo singole vie “LGBT”, ma veri e propri quartieri, denominati gay village, all’interno del quale c’è un alta concentrazione di residenti e attività riconducibili a questa comunità.

AC: Com’è vista da altri Imam la sua interpretazione e il suo impegno a difesa dei diritti della comunità LGBT+?

EFK: Io penso che conoscere il contesto culturale del Canada in merito a questo tema è veramente importante: nel 1969 viene de-criminalizzata l’omosessualità e nei primi anni del 2000 vengono introdotte le leggi per i matrimoni per persone dello stesso sesso. Quando queste leggi furono introdotte la maggior parte delle persone erano contrarie. Tuttavia, la situazione è iniziata a cambiare in quanto, sia a scuola che nei luoghi di lavoro, molte persone hanno avuto contatti diretti con persone dello spettro LGBT+, compresi musulmani eterosessuali, cambiando così il loro modo di percepire l’omosessualità. In merito alla percezione da parte di altri Imam, posso dire che per le celebrazioni del mio matrimonio c’erano tre Imam eterosessuali, ma per questo mi ritengo anche un po’ privilegiato, in quanto mio padre e la mia famiglia sono ben inserite nella comunità musulmana”.

Il Canada è la prima nazione americana e la quarta al mondo ad aver introdotto i matrimoni egualitari. In maniera meno omogenea è stata introdotta la possibilità di adottare e nel 2013 è stata approvata la legge sulla maternità surrogata per coppie dello stesso sesso.

AC: Com’è vista l’omosessualità nell’Islam e dove possiamo trovare riferimenti?

EFK: L’omosessualità è innanzitutto un concetto post moderno europeo: invece di questo termine, a cui si associa una determinata identità, bisognerebbe parlare di comportamenti e di relazioni. Noi sappiamo, per esempio, che il domestico del Profeta era un Mukhannathun, spesso conosciuto per essere un uomo effemminato, trans e/o non binario, che aveva accesso sia agli spazi maschili che a quelli femminili. E sappiamo anche che gli ortodossi e la comunità musulmana  maggioritaria conosce questa storia, ma non ne parla perché è una spiacevole verità. La cultura dominante racconta che questo Mukhannathun sia stato tuttavia espulso dalla casa di Maometto, utilizzando questa storia per dire che questa persona è stata espulsa dalla casa del Profeta per il fatto di essere omosessuale. Invece, il Mukhannathun era stato espulso per un commento non opportuno: questo era il motivo e non la sessualità. I Mukhannathun esistevano già nell’era pre-islamica e già dai tempi del Profeta Maometto erano impiegati come servitori, di sesso maschile, per donne facoltose. Il motivo era dato dalla convinzione che non fossero sessualmente interessati al corpo femminile e non che fossero omosessuali. Tuttavia, il tema nell’Islam e nei Paesi islamici rimane controverso e soggetto a interpretazioni differenti che portano in alcuni casi a carcere, pene pecuniarie e addirittura alla pena di morte, come in Arabia Saudita, Yemen, Iran, Pakistan, Nigeria, Mauritania, Sudan e Somalia. Tra i sostenitori dell’incompatibilità tra Islam e omosessualità ricorre  un versetto del Corano che riporta quanto detto dal Profeta Lot al suo popolo: “Vi accosterete agli uomini piuttosto che alle femmine per placare il vostro desiderio? Siete davvero un popolo ignorante” [27:55].

AC: In Italia il tema immigrazione è molto sentito e attualmente sotto i riflettori, in base alla sua esperienza di avvocato che si occupa di rifugiati e immigrati, cosa ci può raccontare? Com’è vista la crescente presenza di musulmani e di immigrati all’interno del Canada?”

EFK : Il Canada è composto per la maggior parte da immigrati e questo fattore contribuisce molto all’atteggiamento non discriminatorio di chi vive qui. Alcuni pregiudizi e alcune paure sono ormai disintegrate grazie anche al fatto che si lavora giornalmente a stretto contatto con culture differenti. Il contatto umano – sempre per l’Imam Khaki – cambia le persone. Inoltre, i musulmani in Canada, circa il 3%, non rappresentano una minaccia religiosa, politica e sociale per i cattolici, che sono invece circa il 40%. A Toronto, tuttavia, il 10% della popolazione della GTA (Greater Area of Toronto) è di fede islamica, circa 300 mila persone. E questi musulmani sono ben integrati anche in ambito lavorativo, dall’inserviente fino al parlamentare.

Lo stesso El- Farouk Khaki si era candidato nel 2008, anno prima della fondazione della Toronto Unity Mosque, al Parlamento federale con il socialdemocratico, New Democratic Party. L’immigrazione è quindi un tema altrettanto attuale in Canada: dal 2002 – secondo quanto si apprende da un interessante grafico presente all’interno del Canadian Museum of Civilization di Gatineau (Québec) che abbiamo avuto modo di visitare – migliaia di persone si sono trasferite nel Paese. A differenza del periodo post seconda guerra mondiale, che ha visto una forte immigrazione dall’Europa (compresa l’Italia), oggi la maggior parte delle persone arrivano dal centro Asia e dall’Africa. Un numero in continua crescita, favorito anche dalle politiche pro immigrazione del Governo centrale di Ottawa.

Il Canada potrebbe essere visto come un Paese che è riuscito, fino a questo momento, a diventare sotto il punto di vista dei diritti civili e dell’immigrazione un modello alternativo, senza avere reazioni cosiddette “sovraniste” o slogan come “Prima i canadesi”. Un sondaggio condotto nel 2010 dalla Queen’s University di Kingston, ha fatto emergere addirittura che il valore del “multiculturalismo” è importante per i canadesi più o meno quanto l’inno nazionale.

Andrea Cannizzo