ARABIA SAUDITA. Davanti al tribunale per il terrorismo la leader dei diritti delle donne

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L’ufficio del procuratore di stato in Arabia Saudita chiede la massima pena detentiva possibile per l’attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul, sollevando la possibilità che l’attivista possa trascorrere 20 anni dietro le sbarre dopo l’annuncio di un verdetto nel suo caso la prossima settimana.

Nell’udienza del 16 dicembre presso il tribunale dell’Arabia Saudita per il terrorismo, il giudice ha detto che il prossimo lunedì emetterà un verdetto e una possibile sentenza nel caso, riporta The Guardian. Il caso di Hathloul è stato trasferito dal tribunale penale al tribunale del terrorismo il mese scorso.

Il tribunale ritiene che la donna sia una terrorista. Hathloul, 31 anni, è uno dei più importanti attivisti dei diritti umani in Arabia Saudita. È stata arrestata e detenuta diverse volte per aver sfidato il divieto di guida delle donne e per aver fatto campagna per la fine del sistema di tutela maschile, che rende le donne cittadine di seconda classe.

È stata arrestata insieme a diverse altre attiviste nel maggio 2018, poco prima che la legge sulla guida delle donne fosse cambiata, in quello che è stato interpretato come un messaggio dalla leadership saudita che la riforma nel regno ultra-conservatore può arrivare solo dall’alto verso il basso.

Da allora, i parenti dicono che Hathloul è stata violentata, torturata con percosse e scosse elettriche e tenuta in isolamento per lunghi periodi di tempo. Diversi tentativi di sciopero della fame hanno anche portato un comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle donne a manifestare allarme per il suo stato di salute precario. Dopo essere stata processata nel tribunale penale di Riyadh con l’accusa di aver destabilizzato la sicurezza nazionale e di aver lavorato con entità straniere contro lo Stato, il caso di Hathloul è stato trasferito a novembre al tribunale penale specializzato.

Amnesty International sostiene che l’organo segreto emette regolarmente lunghe condanne a pene detentive e a morte per coloro che sfidano la monarchia assoluta del Paese e ottengono confessioni sotto tortura: «Un regime che vede l’attivismo delle donne come terrorismo è profondamente spezzato. Non ci sono ragioni morali o legali per continuare la detenzione delle attiviste e la loro prolungata incarcerazione non è nemmeno nell’interesse del regime saudita. L’Arabia Saudita non riabiliterà mai la sua reputazione mentre continua a imprigionare e torturare coloro che fanno campagna per le libertà fondamentali», ha detto l’ong Grant Liberty, che fa campagna a favore dei prigionieri di coscienza sauditi.

Da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman è stato nominato erede al trono nel 2017, Riyadh ha intrapreso una serie di riforme sociali di ampio respiro: oltre a permettere alle donne di guidare, la famigerata polizia morale del Paese è stata ridimensionate e le donne hanno ora la libertà di viaggiare senza il permesso di un tutore maschile. Le riforme, tuttavia, sono state accompagnate da una crescente repressione statale contro le voci dissenzienti.

Maddalena Ingrao